Stipendi d’oro, aziende in rosso
È questo il titolo di un articolo con il quale il 3 aprile scorso Repubblica ha presentato un’inchiesta sulle retribuzioni dei 50 dirigenti più pagati fra le aziende quotate a Piazza Affari, confrontandole per settori omogenei con i loro colleghi europei.
Ecco a voi, per sommi capi, i risultati del 2007 confrontati con quelli del 2006.
Gli stipendi sono cresciuti del 29%, mentre sia le quotazioni di borsa sia gli utili sono diminuiti.
I manager italiani battono la media dei colleghi europei sia per incremento percentuale sia per valore assoluto della retribuzione.
Non ci dice, l’inchiesta, se i manager di casa sappiano fare meglio dei colleghi in termini di risultati d’impresa: la qual cosa ci sarebbe di consolazione.
Anche gli americani non ridono: qualcuno di voi ricorderà il post “L’AD acquista una casa lussuosa? Vendete il titolo!”, nel quale riassumo i risultati di uno studio che individua una correlazione negativa fra valore delle azioni e valore degli immobili acquistati dagli amministratori delegati.
Da cosa originano questi incrementi retributivi, dato che non sono attribuibili a maggiori profitti per gli azionisti?
Difficile rispondere in modo esaustivo: certo le relazioni, personali o familiari, sembrano pesare più dei risultati.
Ma due richieste vorrei farle.
La prima ai manager. Ai quali chiederei, di fronte a performance aziendali non esaltanti, di contenere l’incremento del proprio stipendio nei limiti di quello concesso ai dipendenti delle società che guidano (2,3% in media).
La seconda agli azionisti. Ai quali chiederei di avere maggior cura dei propri interessi: specie quando lo stipendio del manager cresce e gli utili avvizziscono.