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La dignità del lavoro: ovvero quando il giornalista lavora in un bar

Ricevo da Laura Avalle questo pezzo. Giovane e brava giornalista, con voglia di fare il suo mestiere, e con il problema di arrivare a fine mese. Pubblico integralmente.


Caro Arduino,


ho letto e riletto il suo blog. Dalle strategie di marketing alla politica, dalle storie di vita di tutti i giorni alle piccole e grandi provocazioni. Mi piace, davvero.


E a questo punto mi chiedo: perché non dare spazio anche alle lettere di coloro che la seguono? Pensi a quanti spunti e a quante riflessioni ne verrebbero fuori. Una specie di confessionale pubblico, uno spazio per farsi sentire e ascoltare. Perché questo è il problema della nostra ipocrita Italia. Di questo Paese del “si fa, ma non si dice”.


Dicono che da noi non ci sia lavoro. Cavolate. Il lavoro c’è. Magari non quello che abbiamo sempre sognato, o per il quale abbiamo studiato, ma tant’è. Si inizia e poi da cosa nasce cosa, che non significa soffocare le nostre aspirazioni, ma essere duttili, elastici, intraprendenti. In attesa di tempi migliori o “del grande salto”.


Vengo al mio esempio. Ho 30 anni, sono giornalista professionista e ho una laurea. Professione che svolgo da freelance, perché il “posto fisso” di questi tempi è diventato una chimera. Vengo pagata a pezzo. Guadagno bene, ma non abbastanza da potermi permettere di mantenermi da sola a Milano.


E visto che non ho più 20 anni e che non posso chiedere i soldi a mamma e papà, mi sono trovata un altro lavoro part time. Che non c’entra niente con il giornalismo. Proprio cosi’.


Faccio la cassiera in un bar. Almeno arrivo a fine mese tranquilla e non devo rinunciare al mio sogno di fare la giornalista, con la speranza che, prima o poi, qualcosa si muova.


Sto bene, sono serena e fiduciosa per il futuro e ho stima di me stessa. Guai però a parlarne con i colleghi giornalisti o a dirlo in un colloquio. La gente, se sa che lavoro in un bar per mantenermi, non mi prende più sul serio. Comincia a dire che devo investire sul mio futuro, che sono sprecata a fare un lavoro cosi’ poco prestigioso, bla bla bla … tante belle parole, ma intanto nessuno che mi offra uno straccio di lavoro.


Oppure sì. Come stagista, gratis. E come faccio a campare? Mi trovo uno che mi mantiene? Oppure vado a rubare? O mi piazzo la sera sul ciglio di una strada con tanto di minigonna e borsetta al seguito?


Mi perdoni, ma si è davvero perso il senso delle cose. Se potessi permettermi di vivere di rendita, adesso sarei in qualche isola caraibica a prendere il sole tutto il giorno, non crede? Come si fa a dire a una ragazza di 30 anni “verresti a lavorare per 500 euro al mese?”.


Giuro che me l’hanno chiesto. L’amministratore delegato di un gruppo editoriale, molto grosso, fra l’altro. Mi è anche successo che un noto giornalista mi offrisse qualche collaborazione una tantum e che pretendesse pure che lasciassi il bar, “perché fare la cameriera è un lavoro sconveniente”, per dirla con parole sue.


Invece di apprezzare il fatto che una ragazza abbia dei sogni e che cerchi di realizzarli con le proprie forze, con dignità, anche a costo di andare a lavorare in un bar sette giorni su sette, queste persone cercano di umiliarmi. Come se dovessi provare vergogna a fare un lavoro semplice, onesto.


Nel frattempo nessuno che mi offra una collaborazione, una dritta qualunque. Nada. Eppure nei paesi anglosassoni non è così. Succede solo da noi, nella ipocrita Italia appunto, dove tutti sono bravi a lamentarsi, ma guai a sporcarsi le mani con un lavoro che non rispecchia il proprio titolo di studio. Tabù.


Forse che scendere a compromessi sia più prestigioso?

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Commenti
Anonymous 5 Giugno 2008 0:00

Laura,
grazie per la lettera. Vorrei cominciare il mio commento citando un passo da un messaggio inviatomi da un mio amico: “…Martedì ho fatto colloqui per una posizione in direzione generale, a ****… Sapró tra dieci giorni il responso. Se dovesse andare bene la probabilitá che un giorno possa tornare a lavorare in Italia è sempre piu bassa. Comprerò casa in Svizzera. L’avresti mai immaginato quando facevo i colloqui con ****? Dall’Italia non mi chiama nessuno per offrirmi un lavoro. La cosa peggiore è che non sembrano interessare a nessuno le competenze ed esperienze che piu caratterizzano il mio curriculum. Povera Italia o povero me?”
Puntualizzo solo che il mio amico, che ha 43 anni è Ingegnere, ha un Master in Business Administration, parla 4 lingue e ha un’esperienza infinita in posti di alta responsabilità. E’ persona di grandissima energia e competenza ma la cosa non gli vale granché in questo momento, pare.
Tutto ciò per dire che sei in ottima compagnia. E’ dura per molti, non solo per i giovani.
Bando alle chiacchere però. Mi sembra che anche tu di energia ne abbia molta e mi preme esprimere qualche pensiero positivo.
E’ probabile che tu sia nel posto giusto. Io ho lavorato a lungo a Milano, pur essendo di Torino, e un po’ di differenza la vedo. Se ti ha accarezzato l’idea di trasferirti in provincia, dove la vita è meno cara, potresti rimanere delusa. Lì le opportunità potrebbero essere minori e non ne varrebbe comunque la pena.
Tieni duro dunque. Certo che se il bar è al Giambellino, o dietro la stazione di Greco, è dura sul serio. Però tieni duro. La professione di giornalista, come i bar, non finirà presto. Anche le calze da donna sono un’articolo che andrà bene sempre.
Correggimi se sbaglio ma lavorando (quando trovo) nell’ambito ICT che è stra-inflazionato (spesso di gente che fa più danni che altro) mi viene da pensare che anche per il giornalismo sia così. Sono nel giusto?
La ‘strategia’ in questi casi sarebbe quella di ‘differenziarsi’ e ‘puntare al nuovo’. Io non ci sono mai riuscito, ma spero che tu ci riesca, così dai ragione ai vari McKinseyBoozAllenHamiltonGartnerJPMorganMichaelPageAndersenecompagniacantante che sembra sappiano tutto loro.
Io, per farmi spazio nel mio settore, dovrei ricorrere al gas Nervino (quello funziona di sicuro). Ma sono di animo mite.
Non toglierti la soddisfazione di dire che lavori in un bar. Io ho lavorato per anni in un bar e se qualcuno mi dicesse che sbarca il lunario lavorando in un bar ne avrei grande considerazione. Sarà per quello che non ho mai fatto carriera da nessuna parte e ho un metro quadro di nuvole che mi segue sempre.
Quando sono depresso per la mia personale situazione penso sempre alla badante di mia figlia che è partita a 48 anni dalla Romania per venire clandestina in Italia e oggi se ne torna in Bucovina avendo vissuto 10 anni a Torino, in modo semplice e dignitoso, lavorando come poteva e dove trovava. E non è un caso isolato.
So che non è granché come incoraggiamento, ma ora non mi è venuto di meglio.
Visto che sei una giornalista, la cosa migliore per una giornalista è essere letta quando scrive. Se ti va, puoi mandarmi qualcosa di tuo (se non coperto da diritti particolari) al mio indirizzo enrico_longo@libero.it . Avrai almeno la consolazione di avere un lettore in più.

Buon lavoro (il prossimo)

Enrico Longo

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