Una laurea, sacrosanta, per Umberto Bossi
Sponsor è il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Mariastella Gelmini, la quale nello scorso luglio avrebbe telefonato direttamente al rettore dell’Università dell’Insubria, nella “sua” Varese.
Molte le voci scandalizzate: qualcuno ha reagito come nella vignetta, anche fra sostenitori della Lega Nord.
Fra le più rumorose quella di Massimo Gramellini, vice direttore della Stampa di Torino, il quale ha ironizzato sul fatto che la laurea troverebbe ampia giustificazione sia nella comunicazione verbale (celodurismo, tricolore carta igienica e metafora guerriera con impiego a sfondo erotico di kalashnikov e spadone di Alberto da Giussano), sia in quella non verbale (ombrelli, diti medi e mani aperte a casseruola).
Ma il punto di vista di Gramellini è, a mio avviso, molto limitato.
Egli dimentica che nella comunicazione, specie quella politica, il ricorso alla divisione (noi buoni, voi cattivi) aiuta a raccogliere seguaci e a farli sentire parte integrante di un gruppo: diversi, appunto, da avversari vissuti addirittura come nemici da combattere.
Intolleranza (in varie forme) e aggressività sono il naturale condimento di questa tecnica di comunicazione.
Parola di Sigmund Freud nella Psicologia delle masse e analisi dell’io, che certo il leader leghista ha letto accuratamente.
A questi concetti Umberto Bossi ha fatto ampio ricorso negli ultimi 20 anni, riuscendo abilmente a mantenere coeso un elettorato al quale sono finora venuti a mancare i due obiettivi principali: la nascita di uno stato padano e, in second’ordine, il federalismo.
Come, con questi presupposti, negare una laurea honoris causa al leader del carroccio?