E se pagassimo meglio gli operai?
Sentite cosa ne pensa Bertrand Russell.
Tutti coloro che non sono pazzi concordano su certi argomenti: che è meglio essere vivo che morto, meglio essere ben nutrito che affamato, meglio essere libero che schiavo.
Molta gente auspica questi beni soltanto per sé e per i suoi amici, e non ha nulla da obiettare alle sofferenze dei propri nemici. Il loro punto di vista può essere sconfessato dalla scienza: l’umanità è divenuta ormai una famiglia così unita che non possiamo garantire la nostra prosperità se non garantendo quella del nostro prossimo.
Se volete essere felici, dovete rassegnarvi a vedere felici anche gli altri.
Niente da dire, il vecchio Bertrand aveva l’occhio lungo: ma quello che sto per dirvi forse non lo aveva previsto.
Esiste un numero di casi abbastanza elevato di imprese che hanno migliorato la loro competitività e i risultati attraverso una migliore retribuzione e condizioni di lavoro delle fasce più deboli: quelle alla base della scala gerarchica, per intenderci.
Commessi, operai, facchini, tecnici di assistenza e quant’altro vogliate aggiungere.
Quello che la ricerca di competitività mette oggi in crisi è il paradigma che il profitto passi attraverso una retribuzione ai limiti della sussistenza delle fasce a minore contenuto di conoscenza e crescenti livelli di incentivazione ai vertici della scala gerarchica.
Pagare meglio le fasce più deboli e investire nella loro preparazione rappresenta oggi la chiave della nuova competitività per le imprese.
Slogan comunista? Direi piuttosto esigenza capitalista.
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