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It depends (dipende...)

13 Aprile 2012 | di Arduino Mancini Domande, Ascolto, Comunicazione (in)efficace

Ricevo da Federico Reviglio, amico di vecchia data e prezioso commentatore di tibicon, un suggerimento per la gestione di “tecnici” in senso lato. Lo condivido volentieri con voi: un lampante esempio di come la formulazione delle domande possa rivelarsi decisiva nella gestione di “esperti”.

Arduino ha dato qui recentemente saggi consigli su come gestire i consulenti.

Provo a integrare con qualche avvertenza di fronte a una categoria ancora più sfuggente e pericolosa, i cosiddetti “tecnici”, che vanno dall’elettricista che installa una presa a muro fino ai progettisti dei macchinari per l’industria pesante.

Qualche anno fa, lessi un report che diceva più o meno (cito a memoria): “I tecnici – quando si chiede loro una rapida valutazione, anche approssimativa, sulla fattibilità di un progetto complesso – in genere rispondono ‘dipende’. Questa risposta ‘dipende’ produce invariabilmente frustrazione in chi ha posto la domanda, e genera serie difficoltà al progetto”.

Qualsiasi project manager sa di cosa sto parlando.

Il project management è un mestiere nato in anni recenti, e una buona parte della sua attività è dedicata proprio alla gestione dei “dipende…” detti dai tecnici.

Mica facile, ci vanno competenze abbastanza appuntite. Per chi volesse provarci, ci sono però un paio di trucchi preliminari, che dedico a chi non li avesse già scoperti da solo.

Anzitutto – primo trucco – bisogna conoscere le lingue, intese come linguaggi.

Se si deve mediare tra tecnici e committenti in modo che si capiscano tra di loro, bisogna diventare degli Zelig: un ibrido delle varie categorie tra cui ci si aggira, senza far parte di nessuna.

Con il famigerato tecnico bisogna saper parlare da tecnici, ma bisogna anche saper parlare da progettisti con un  progettista, da commerciali con un commerciale, da amministrativi con un amministrativo, da manager con un manager, non fare nessuno di questi mestieri, e soprattutto (ciò che giustifica la parcella) riuscire a mettere tutti costoro intorno a un tavolo, evitando che chiunque possa dire “dipende”, e perciò risparmiando a tutti frustrazioni.

Quando si va al tavolo, scatta il secondo trucco.

Il campo di applicazione non è molto importante, potrebbe trattarsi della personalizzazione di un motore navale piuttosto che del nuovo layout degli uffici.

Proviamo con il tema “computer e software”, visto che più o meno tutti ci hanno a che fare, e quindi ci si può capire facilmente (cosa che non si può dire dei motori navali).

Preliminarmente, bisogna aver chiarissime alcune brevi regole per interpretare le risposte del  tecnico alla domanda: “si può fare questa cosa?“.

Il tecnico risponde “no”; significa

  1. che non sa farla, 98% dei casi;
  2. che la domanda era stupida ai limiti del surreale (“si può fare il caffè con un computer?”), 2% dei casi.

Il tecnico risponde “sì”; significa (1) che ha fatto qualcosa di abbastanza simile per un altro cliente, e vuole rivendervelo facendolo passare per nuovo e originale, 98% dei casi; (2) che è un’opzione standard, è scritta nella prima pagina del manuale di istruzioni, 2% dei casi.

Il tecnico risponde “dipende“; significa che è ragionevolmente sicuro di essere capace a farla, ma si cautela perché potreste esservi spiegati male (50% dei casi), potrebbe avere un costo che voi non volete affrontare (48% dei casi), con i computer non si sa mai (2%).

Da ciò si vede che un tecnico bravo e serio non risponde mai “si” o “no” (salvo a domande idiote o banali); risponde sempre “dipende”. Non è il caso di frustrarsi se lo si sente parlare così, bisogna invece essere contenti di aver conosciuto un professionista serio e competente.

Il secondo trucco di cui dicevo è quindi che la domanda “si può fare questa cosa?” non va mai e poi mai fatta a un tecnico (se non per vedere se è bravo e serio). La vera domanda da porgli è: “se facciamo questa cosa, quali sono le conseguenze?“.

Qui lui non risponderà più “dipende” – che equivarrebbe a “non ne ho la più pallida idea”, e saremmo tornati al tecnico meno bravo e meno serio.

Vi darà invece risposte precise, talora micidiali, e che spesso i non tecnici non s’immaginano nemmeno: ad esempio, parlando di computer, “la macchina potrà lavorare al massimo con tre persone collegate alla volta”, oppure “i tempi di risposta del server saranno rallentati mille volte”, “costerà trenta milioni di euro”, e via di seguito.

Si ha una buona base di partenza, e la discussione può cominciare senza frustrazioni.

Perciò, onde guadagnare gli eccellenti stipendi dei “diplomatici di progetto”, si può iniziare a sedersi a un tavolo insieme a un tecnico e un non tecnico, sentire il non tecnico chiedere “si può fare questa cosa?”, fermarlo con un sorriso, girarsi verso il tecnico e tradurre “se facciamo questa cosa, quali sono le conseguenze?”.

Adesso, quei due potranno cavarsela (quasi) da soli.

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Commenti
Simone 13 Aprile 2012 0:00

Leggendo questo post percepisco che:
– Il tecnico è sfuggente, pericoloso e poco incline al dialogo
mentre
– Il PM ha competenze abbastanza appuntite e grazie al suo operato e alla sua capacità di parlare più “lingue” le persone possono cavarsela da sole (o quasi)

Ma stanno davvero così le cose? Dipende! 🙂

Grazie

AM 15 Aprile 2012 0:00

Grazie Simone, per l’arguto commento che apre di fatto il dibattito. Sono certo che Federico non ci farà mancare il suo punto di vista.
Grazie del commento e presto leggerti.
Arduino

Sergio Gerosa 21 Aprile 2012 0:00

Forse la questione può essere posta anche in altri termini: spesso pretendiamo di avere da un tecnico una risposta precisa ad una domanda vaga. E’ un po’ come chiedere il prezzo di un prodotto che si vuole far realizzare senza averne definito le specifiche.

La riformulazione della domanda posta da Arduino non fa altro che spostare (correttamente) sulla risposta la definizione dei limiti entro cui tale risposta è valida.
La ragione infatti per cui molti tecnici e specialisti evitano di dare risposte secche (un “si” o un “no” per intenderci) è per non rischiare di prenersi un impegno preciso di fronte ad una richiesta vaga.
La mia raccomandazione è:
– da parte dei project manager: non abbiate paura dei “dipende” e non sentitevi frustrati. Aprite anzi bene le orecchie e ascoltate quello che viene dopo il “dipende”, che è la vera risposta alla vostra domanda; o meglio è parte integrante della domanda (le condizioni per cui la risposta sia un “si”).
– da parte del tecnico: se non si vuole sembrare vaghi nella vostra risposta, invece di cominciare con un “dipende” potreste cominciare con una formula un po’ più complessa ma che certamente non genera frustazioni, del tipo: “cerchiamo di precisare i contorni della domanda …” o meglio ancora “le condizioni per cui ci possa essere una risposta affermativa a questa domanda sono …”.

E attenzione, non è solo una questione linguistica. Direi piuttosto una questione “attitudinale”. Il “dipende” viene spesso percepito da chi ha fatto la domanda come un tentativo di eludere quest’ultima: una fuga insomma.
Se invece definiamo meglio quelli che sono i contorni della questione, questo verrà percepito come la volontà di essere più precisi e dare una risposta argomentata e corretta: un avvicinamento dunque.
E la differenza non è poca.

AM 22 Aprile 2012 0:00

Sergio, che dire?
Suggerimenti che possono venire solo da uno molto navigato. E molto sensati direi. Mi auguro l’intervento di altre persone e di ampliare la discussione.
Intanto grazie, e presto leggerti.
Arduino

Lorenzo 24 Ottobre 2012 0:00

mi ritrovo
(e ti ritrovo 😉

    AM 25 Ottobre 2012 0:00

    Grazie!
    Arduino

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