Menti (non) sapendo di mentire
Ieri, riponendo alcuni libri, mi sono ritrovato fra le mani un libro molto interessante:
Il metodo antierrore, di T. Hallinan.
Sfogliandolo, dopo diverso tempo, l’attenzione è finita su una pagina che cita il premio Nobel Daniel Kahneman in un’intervista di qualche tempo fa.
Dice Kahneman:
La cosa di gran lunga più sorprendente è quanto di rado la gente cambi idea. In primo luogo non siamo consapevoli di cambiare idea anche quando lo facciamo; inoltre, dopo aver cambiato idea, la maggior parte di noi ricostruisce le opinioni che aveva in precedenza modellando le sue nuove convinzioni e si persuade di aver sempre ragionato secondo il nuovo schema.
Secondo Kahneman, che ha lungamente studiato il tema, abbiamo la tendenza a vedere e a ricordare in modo utilitaristico senza essere consapevoli degli errori che commettiamo: il ricordo viene costruito in modo positivo e gratificante, sostenendo un’immagine di noi migliore di quanto non sia in realtà.
In sintesi, mentiamo senza essere consapevoli di mentire. Anche a noi stessi.
Vediamo alcuni esempi.
Significativi esperimenti condotti sul ricordo di voti scolastici conseguiti alcuni anni prima da parte di studenti della Ohio Wesleyan University, hanno rivelato che i ragazzi fornivano risposte sbagliate almeno nel 29% dei casi; inoltre, in oltre il 70% dei casi i voti erano gonfiati e i voti buoni erano ricordati meglio di quelli meno brillanti.
I genitori ricordano i loro metodi educativi come molto più aderenti a ciò che consigliano gli esperti di quanto non siano in realtà, mentre i giocatori d’azzardo ricordano con maggiore indulgenza le loro vincite rispetto alle loro perdite.
Interessante vero? Credo tuttavia che ci sia una situazione che meglio di qualunque altra ci può aiutare a comprendere questo meccanismo mentale.
Sono certo che ognuno di noi abbia vissuto almeno una volta una situazione in cui si è trovato a essere osteggiato dal capo (o da altra autorevole persona) nel prendere una decisione rivelatasi, alla luce dei fatti, corretta; e sono altrettanto certo che ricordiamo chiaramente la rabbia che ci ha assalito quando abbiamo sentito chi era in un primo momento contrario affermare con soddisfazione:
“Abbiamo preso la decisione giusta”.
Bene, quello che Kahneman sostiene è che tendiamo a mantenere vivo il ricordo di episodi del genere quando vestiamo i panni del collaboratore, mentre modifichiamo il ricordo circa le posizioni assunte “adattandolo”, rendendole cioè coerenti con la scelta rivelatasi vincente, quando vestiamo i panni del capo.
Quale uso possiamo fare di questo stato di cose?
Direi che la situazione sembra essere vantaggiosa per tutti, in ogni caso.
Poiché coloro i quali sono attenti alla propria crescita personale potranno prendere consapevolezza del loro comportamento e cercare di porvi rimedio mentre gli altri potranno continuare serenamente a salire sul carro del vincitore (chiunque egli sia) senza sensi di colpa, in virtù di un comportamento che potranno strumentalmente continuare a definire inconsapevole.
Tu cosa ne pensi?
Ho trovato veramente intrigante questo atteggiamento psicologico, di cui si vedono spesso le conseguenze in genere penose, ma che oggi ha anche una buona spiegazione delle cause; dando per scontata la buona fede di alcuni e l’opportunismo di molti altri è azzeccata anche la conclusione dell’articolo, che concede un recupero ai primi per rimettersi in carreggiata e con un giusto pessimismo ritiene che non ci sia niente da fare per i secondi, con buona pace delle loro “inossidabili” coscienze.
Ciao Silvia, grazie del commento.
Per riguarda le persone che tengono un “comportamento che potranno strumentalmente continuare a definire inconsapevole” la mia è una comunicazione agli interessati: il gioco può essere scoperto e continuare a giocarlo può essere pericoloso.
L’auspicio? Che almeno possano perdere un po’ della loro sicurezza; il cambiamento poi, non si nega a nessuno.
A presto leggerti,
Arduino
Buongiorno. Leggo solo oggi, 25 maggio 2015, queste riflessioni.Esse mi riportano a due ambiti di ricerca. A mia modestissima conoscenza si incrociano. A) Primo ambito.Una analisi psicologica e/o psichiatrica, nei casi più gravi e notoriamente in alcuni ambiti di programmi di rieducazione nelle carceri come i programmi di Giustizia Mite. B) Ambito psichiatrico/giuridico. L’ altro ambito particolarmente delicato nel nostro sistema meno che in altri, non essendo prevista una decisione come discriminante tra ergastolo o pena di morte, talvolta, come in alcuni Stati degli Stati Uniti d’ America. Infinite grazie per l’attenzione e il tempo dedicato. Buona giornata
Alessandra
Ciao Alessandra,
grazie per aver attirato l’attenzione su conseguenze tanto importanti del fenomeno descritto nel post.
A presto leggerti,
Arduino