... e cosa ci insegna...
Come cambia la pubblicità del Cracker Gran Pavesi
L’ultimo spot del Cracker Gran Pavesi, in onda per lanciare il nuovo Creacker Sandwich, è molto interessante.
Perché?
Non perché dica qualcosa di nuovo in termini di comunicazione, questo no.
Cosa vuoi, il target sono giovani che consumano i cracker per rimanere magri e sentirsi belli, in piena sintonia con l’uomo di superficie di Andreoli: cosa meglio di uno spot come questo, ammiccante e zeppo di triti e ritriti messaggi di natura sessuale?
Capisco l’agenzia pubblicitaria; che altro proporre? Bisogna pur vivere…
Trovo tuttavia interessante paragonare questa pubblicità con quella del Cracker che andava in onda negli anni ’80: la trovi di seguito.
Come puoi vedere lo spot era focalizzato sulla qualità del prodotto e il target era quello della famiglia che ne condivide con gioia il consumo: perché il cracker è buono, tanto buono da farlo consumare a tuo figlio.
Da allora la comunicazione pubblicitaria (nel suo complesso, non solo quella della Pavesi) si è tendenzialmente spostata dal prodotto al consumatore, alla sua visione di sé.
Perché questo cambiamento?
Due le ragioni, resa evidenti dai due spot che ti propongo.
La prima è che in fondo un cracker (anche se dentro c’è del formaggio) è un cracker e la qualità non è poi così diversa fra marca e marca; e allora la comunicazione punta tutto su come sente di essere (e come vuole essere…) chi lo consuma. Se questo è vero, lo spot oggi in onda non può che essere uno dei pochi risultati possibili.
La seconda è che la comunicazione focalizzata sulla qualità del prodotto non è per niente semplice e per affrontarla con successo bisogna saperci fare, e non tutti se la sentono (o ne sono capaci).
Vuoi un esempio di pubblicità di prodotto ben fatta, vero?
Cosa ne pensi?
La discussione è in linea con quanto sto leggendo in questo periodo (Ancora dalla parte delle bambine di Loredana Lipperini… CONSIGLIATO). La pubblicità spesso descrive una donna corollario dell’uomo nell’espressione della sua sensualità e femminilità e nel caso di quella Pavesi, strizza l’occhio alla virilità sempre più autocelebrativa degli spot. La pubblicità però non crea modi di pensare e vivere, ma stigmatizza e amplifica quelli in essere
ps. complimenti
Grazie. Vuoi inviarci una tua recensione del libro, così la pubblichiamo? Potremmo inserirla fra i libri estivi.
A presto leggerti,
Arduino