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Perché, imporre un coach, può rappresentare un grave errore

Mo' ti faccio il coaching!

26 Settembre 2013 | di Arduino Mancini Vuoi scoprire il coaching?

Post aggiornato il 27 gennaio 2025

Negli ultimi anni mi sono imbattuto in casi in cui il coaching è stato impiegato per superare criticità di natura organizzativa o di relazione: non sempre con successo.

Un esempio?

In un caso la direzione Risorse Umane ha ingaggiato un coach per superare la situazione di conflitto generatasi a seguito di una riorganizzazione dei processi produttivi, gestita senza la dovuta cautela; riorganizzazione che le persone si erano viste piovere addosso senza preavviso e con scarsa chiarezza.

In un altro il direttore vendite ha pensato di affidare a un coach di sua fiducia le cure di un venditore “forte” che non riusciva a gestire e che avrebbe potuto lasciare la società: con la speranza di trattenerlo e renderlo adeguatamente produttivo

Che cos’hanno in comune questi due casi?

Prima di tutto il fatto che

a scegliere il coach è stata la funzione Risorse Umane,
senza il contributo delle persone interessate

con il risultato di generare diffidenza verso un intervento non richiesto e, soprattutto, non condiviso.

Può essere utile ricordare che il coaching è una disciplina attraverso la quale un coach sostiene lo sforzo di una persona (o di un’organizzazione) in una fase di apprendimento o di miglioramento della prestazione, comunque delimitata nel tempo, finalizzata al raggiungimento di determinati obiettivi.

Fondamentale è il clima di fiducia:
senza di esso il raggiungimento dell’obiettivo è utopia.

Perché allora si generano situazioni di questo genere?

Perché si arriva a pensare di poter ottenere i risultati desiderati senza il coinvolgimento della persona interessata nella fase cruciale della scelta?

Le ragioni possono essere diverse e di seguito ne riporto alcune, che possono coesistere:

  • l’azienda ha sentito parlare del coaching come uno strumento da impiegare per risolvere situazioni critiche ma ne ha una conoscenza sommaria. E sommariamente finisce per impiegarlo…;
  • la funzione HR vuole impiegare il coaching per risolvere situazioni critiche ma affida l’incarico a un coach di propria fiducia, sconosciuto all’interessato. E allora o è fiducia a prima vista oppure le cose no9n si mettono bene…;
  • il coach accetta l’incarico non conoscendo la persona interessata, o senza aver verificato l’esistenza delle condizioni per riuscire (bisogna pur vivere…).

Insomma, la strategia del “Mo’ ti faccio il coaching” sembra incontrare le esigenze dell’organizzazione, che ha la tranquillizzante sensazione di aver avviato a soluzione un problema, e del coach, che ha portato a casa l’incarico (e, speriamo per lui, il compenso).

Certo, le probabilità di raggiungere un risultato positivo in queste condizioni sono minime, ma niente paura: alla fine si potrà sempre dire di aver fatto il possibile per recuperare la situazione, ma che l’interessato proprio non ne ha voluto sapere di collaborare.

A quel punto, come spesso accade quando la soluzione tentata non è adeguata, ci si trova a dover gestire una situazione ancora più difficile, che può portare alle dimissioni.

Del dipendente, ovviamente.

Hai mai assistito a situazioni simili?

Collegamenti utili

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Se vuoi approfondire il tema del coaching puoi leggere questi libri: Coaching – J.Whitmore, Coaching – J.Flaherty

 

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