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Quando le persone rappresentano solo un costo...

6 Novembre 2014 | di Arduino Mancini (S)management delle Risorse Umane

Possibile
In Italia si verifica una situazione paradossale: nonostante abbiamo una disoccupazione complessiva di poco inferiore al 13% e quella giovanile superiore al 40%, le imprese hanno difficoltà a coprire ruoli che a prima vista sembrerebbero del tutto ordinari.

Quali?

Il Sistema Excelsior, servizio di Unioncamere e Ministero del Lavoro che monitora le necessità delle imprese in termini di personale, sostiene nel rapporto di agosto 2014 che mancano ingegneri, operai specializzati, progettisti software, meccanici, montatori industriali, ecc.

Laureati in ingegneria ed economia i più richiesti, ma debbono aver maturato esperienza professionale.

Perché questa contraddizione?

Innanzitutto i ruoli menzionati dal rapporto hanno alcune particolarità: o sono poche le persone in grado di ricoprirlo (le università non riescono a sfornare un numero di ingegneri sufficiente a soddisfare la domanda) oppure presuppongono una preparazione post-laurea o post-diploma.

Alla radice di tutto questo troviamo due ragioni.

In Italia il mondo accademico produce laureati senza realmente preoccuparsi di rappresentare un bacino di forza lavoro qualificato; le Università, in special modo, sembrano spesso costituire il feudo di persone che hanno per missione la generazione di vantaggi personali e la perpetuazione di se stessi attraverso parenti e amici di varia natura o poco più.

Adeguare l’offerta formativa alle esigenze del mondo del lavoro costa tempo, fatica e denaro; e bisogna anche saperlo fare.

Perché darsi da fare, se nessuno realmente te lo chiede?

Le imprese, dal canto loro, raramente fanno un’analisi del fabbisogno di personale del quale avranno bisogno nel tempo; ancor meno sono abituate a pianificare la formazione di persone in grado di ricoprirli: perché, del resto, investire su persone delle quali oggi, a ben guardare, puoi fare a meno? Meglio andarle a cercarle quando serve.

Le aziende che compiono tentativi per stabilire legami con le università e la scuola secondaria sono poche: stage, apprendistato e via dicendo sono strumenti troppo spesso impiegati per contenere il costo del lavoro e non per assolvere alla loro reale funzione.

In fondo, ciò che fanno molte le imprese è lavorare con l’organico all’osso, specie in tempi come questi, per poi rendersi conto, quando il vento cambia, di essere drammaticamente scoperte proprio nei ruoli che potrebbero aiutarle a ripartire.

E questo perché non hanno ancora deciso se per loro le persone rappresentano un costo o un capitale.

Non credi?

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Commenti
Cesare 6 Novembre 2014 0:00

Quando mi avvicinai al mondo del lavoro una trentina d’anni fa, sono sempre stato scelto per lavori che non avevo mai fatto e per i quali non avevo preparazione specifica, solo in base alle potenzialità che davano la mia preparazione di base, alcune conoscenze specifiche, la mia attitudine verificata durante i colloqui – e sono sempre andato bene (nel senso che hi ricoperto i ruuoli con buona soddisfazione mia e dell’azienda, e me ne sono andato solo quando è stato il momento di farlo). Certo, sono stato fortunato nel trovare datori di lavoro e capi che hanno voluto e saputo formarmi: tutto ciò che so e ho oggi lo devo a loro.
Asesso invece ho l’impressione che si voglia il candidato perfetto, tagliato su misura, già “imparato” e magari che costi poco… ma secondo me è un aopproccio errato: Primo. perché se anche esiste, un “ogggetto raro” probabilmente se ne rende conto ecosta più caro della media; secondo, perché si prendono comunque delle cantonate, dato che una persona intelligente e flessibile può imparare conoscenze specifiche che le mancano mentre uno specialista zuccone resta comunque zuccone; terzo, perché con la formazione si crea una risorsa integrata nell’ambiente e consapevole delle reali necessità, che se forse costa un po’ di più nell’immediato si può rivelare un eccellente investimento nel medio e talvolta nel lungo termine.
Già ma chi sa investire sul futuro oggi in Italia?

    Dario 6 Novembre 2014 0:00

    Un problema che riscontro sempre più frequentemente è che la maggior parte del management non è più fedele alle aziende come un tempo. Alla base del percorso professionale di molti manager, c’è la volontà di fare 4/5 anni di esperienza e poi cambiare, magari per crescere, opportunità non sempre offerta dalle aziende nelle quali si lavora. In questo contesto ormai diffuso, il mercato del lavoro offre più opportunità alle figure manageriali che possono vantare una miglior performance nell’ambito di loro competenza.
    Da qui deriva la necessità di circondarsi di persone “già imparate” come dice Cesare, e che possono contribuire al raggiungimento di un un risultato immediato, magari creando danni nell’azienda.
    Performance immediate contro fatica, lavoro, investimento, formazione e tempo da dedicare alla crescita dei propri collaboratori.
    In questo scenario è vero che i risultati arriverebbero un pò dopo, ma se costruiti nel modo giusto diventerebbero definitivi. Il cambiamento è per sempre (non solo i diamanti).
    Io sarei dell’opinione che un manager, ovviamente scelto con le dovute modalità e con la condivisione totale della vision e della mission , si leghi ad un’azienda per un periodo non inferiore a 10 anni. E dovrebbe essere valutato sulle performance medie dell’intero periodo.
    Ma questa rimane una speranza.
    Più che contribuire a costruire il futuro dell’azienda, molti manager pensano a costuirsi un futuro, il loro…..

MICHELE 6 Novembre 2014 0:00

Sono le conseguenze di quando non si sceglie il personale in base ai bisogni reali ma in base a: segnalazioni interessate, raccomandazioni politiche, di dirigenti o sindacalisti (ricordiamoci i film di Fantozzi). Inesorabilmente, chi può (ossia i migliori) prima o poi va via. In Azienda restano le zavorre ed i furbi parassiti e quattro fessi (o eroi) che lavorano ciascuno per 10 e tirano avanti la “baracca” per un tozzo di pane (e, alla fine, schiattano….).
Questa è la realtà che nessuno di noi, Italiani, vuole ammettere (perchè all’estero non è così, sicuramente), questo è il sistema e questo è uno dei motivi fondamentali per cui siamo arrivati al fallimento in questo paese disgraziato!

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