Il segreto del manager… “resistente”!
Resistente a cosa?
No, non alla fatica: al cambiamento!
Quando parliamo di resistenza al cambiamento in ambito aziendale o, più in generale, organizzativo, pensiamo in genere a manager o a persone che restano arroccate sulle posizioni conquistate nel tempo, per garantirsi vantaggi o privilegi di varia natura; verso queste persone spesso nutriamo risentimento perché alla loro resistenza facciamo risalire anche la mancata realizzazione di situazioni che riteniamo desiderabili per tutti.
Un esempio?
Specie nella piccola e media impresa italiana faticano a imporsi processi che garantirebbero all’organizzazione maggiori competitività e resilienza ai cicli economici; i primi che mi vengono in mente sono la gestione dei processi di vendita focalizzati sulla previsione e consuntivazione periodica, il ciclo di budget, la gestione di progetti sia interni sia di commessa: processi nei quali il controllo di gestione gioca un ruolo fondamentale (vedi la vignetta).
La domanda che mi sono fatto è: perché certi manager resistono?
Davvero ciò che li paralizza è soltanto la difesa di rendite di posizione? E se ci fosse dell’altro?
Per dare una risposta che non fosse solo “di pancia” ho chiesto aiuto all’equazione del cambiamento, quella sviluppata da Gleicher, Beckhard e Harris, della quale ho scritto in passato per spiegarne l’applicazione in ambito sia organizzativo sia commerciale.
Essa si basa su quattro parametri: l’insoddisfazione circa la situazione attuale, la rappresentazione di un futuro verosimile, i primi passi da intraprendere nel breve per realizzare il futuro desiderato, la resistenza al cambiamento
Ecco la disequazione: D x V x F > R
D = Dissatisfaction, insoddisfazione circa la situazione attuale
V = Vision, rappresentazione del futuro verosimile
F = First steps, i primi passi da intraprendere (nel breve.)
R = Resistenza al cambiamento.
Se una sola di queste variabili è nulla o se il loro livello non è sufficiente a generare la necessaria motivazione ad agire, la resistenza al cambiamento non sarà superata. Qual è il sentimento prevalente nel manager “resistente” di fronte a queste variabili?
Vediamo.
V – La visione di un’organizzazione competitiva e meno vulnerabile è certo desiderata, anche perché capace di garantire nel tempo il trattamento di cui la persona gode e le ricompense attese.
D – L’insoddisfazione circa la situazione presente è in genere tollerata, almeno fino a quando non mette a repentaglio quando ha conquistato in passato o addirittura la permanenza in azienda. Insomma, finché la barca va, perché darsi da fare?
F – Qui la questione si complica. I primi passi da intraprendere nel breve per realizzare il cambiamento desiderato possono invece essere problematici, specie quando è necessario sviluppare conoscenze che richiedono tempi di sviluppo non compatibili con quelli richiesti dalla situazione contingente.
Facciamo un esempio.
Cosa fa un manager quando è costretto a progettare e gestire processi di previsione e contabilizzazione delle vendite e non sa da che parte cominciare? Come può guidare i venditori che, come lui, non hanno esperienza in merito oppure considerano il processo niente di più di una perdita di tempo?
Chiede aiuto a una società di consulenza, quando sa che lui dovrebbe essere in grado di assolvere a un compito che è parte integrante del suo ruolo?
Chiede aiuto al suo capo, o al direttore del personale, confessando la propria inadeguatezza a gestire le proprie responsabilità?
Un incubo, per affrontare il quale troppo spesso il manager tace e preferisce resistere a ogni tentazione pericolosa; occulta la sua impreparazione a gestire il nuovo e continua a fare quanto pensa di saper fare bene.
Le difese possono essere le più diverse: da “abbiamo fatto sempre così” al “troppo complicato per noi”, magari passando attraverso lo scudo della volontà dell’imprenditore o della contrarietà dei capi.
Morale della favola?
Quando vedi un manager resistere al cambiamento, dal quale potrebbe anche trarre vantaggio, raramente ti trovi di fronte a una persona che agisce machiavellicamente per difendere uno status quo; molto più spesso hai a che fare con qualcuno che non è in possesso delle conoscenze necessarie a gestire una situazione per lui nuova e ha paura che le sue carte vengano scoperte.
Del resto, perché uno dovrebbe rinunciare ad affrontare una situazione che sa di poter gestire con successo?
Tu cosa ne pensi?
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Io temo che entrino in gioco il Principio di Peter: “In un’organizzazione gerarchica, ogni impiegato tende a salire di grado fino al proprio livello di incompetenza” e il suo corollario, “Con il tempo, ogni posizione tende a essere occupata da una persona che non ha la competenza adatta ai compiti che deve svolgere”. Principio che vale per tutte le rganizzazioni gerarchice, ma in Iytalia è complicata dal clientrelismo e dalla scarsa considerazione per il merito, per cui molti dirigenti sono saliti qualche gradino SOPRA il proprio livello di incompetenza…
La mia esperienza è che chi è competente NON HA paura delle novità e dei cambiamenti, perché ritiene di poterli affrontare e gestire. Sa che sa nuotare, insomma, e si stacca dalla riva. Come tu hai notato, chi invece già boccheggia (anche se non sempre se ne rende conto consciamente), ha paura di andare dove non si tocca…
Ma come rassicurare un dirigente timoroso? Oppure come indurlo ad agire?
Commenti molto interessanti.
Vado con ordine.
@Cesare.
Chi non ha paura del cambiamento non è chi è competente ma chi ha imparato a imparare, cioé a tenere un inventario di ciò che gli serve e “rottamare” la conoscenza obsoleta, costruendone di nuova (funzionale al ruolo); e a scoprire ciò che può servirgli, e che non conosce. Imparare ad imparare è la competenza di ordine superiore che ci permette di superare le burrasche e ci rende resilienti. Cosa ne pensi?
@Vista. Domanda proibitiva. Come si spinge una persona a imparare ciò che non conosce? Come si può renderla consapevole della necessità di imparare ad imparare? Come aiutarla a gestire il letto di Procuste https://www.tibicon.net/2012/07/le-7-regole-per-scendere-dal-letto-di-procuste.html ?
Mi sono spesso trovato ad affrontare questo tema e le azioni sono sempre diverse, dipendenti dalla persona, dal contesto che si trova ad affrontare, dalla sua visione di sé e del futuro. In ogni caso vedo utile un percorso di coaching (se non conosci la disciplina segui questo collegamento https://www.tibicon.net/glossario/c-2/coaching).
Grazie dei commenti e a presto leggervi,
Arduino
La vera sfida che dobbiamo affrontare