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Due studi conducono a risposte sorprendenti!

Se fossi più ricco, saresti anche più felice?

2 Marzo 2015 | di Arduino Mancini Costruisci la tua resilienza - Retribuzioni

Post aggiornato il 24 gennaio 2022

Bella domanda, vero?

Prima di fare alcune considerazioni voglio presentarti i risultati di due studi, fra gli innumerevoli condotti, particolarmente significativi.

Nel 1978 lo psicologo sociale Philip Brickman diresse una ricerca che aveva lo scopo di capire se le persone che avevano vinto cospicue somme di denaro alla lotteria si ritenessero effettivamente più felici che in passato.

Lo studioso e i suoi collaboratori intervistarono 22 persone residenti in Illinois, che avevano vinto cifre variabili da 500.000 dollari a un milione; la domanda era estremamente semplice:

Quanto sei felice dopo aver vinto alla lotteria?

Tutti si dichiararono molto più felici ma quando, un anno dopo, Brickman li intervistò di nuovo ponendo la stessa domanda, la risposta fu diversa; i fortunati lasciarono intendere che la vincita non aveva migliorato sensibilmente la loro felicità complessiva, nonostante avessero potuto godere di vacanze e una vita notevolmente più confortevole:

l’effetto della maggiore disponibilità economica si era spento in un tempo breve.

Interessante? Non quanto la seconda ricerca che vado a presentarti.

Nel 2006 Daniel Kahneman, David Schkade e un gruppo di economisti sperimentali hanno condotto uno studio e successivamente pubblicato un articolo su Science dal titolo

Would you be happier if you were richer? A focusing illusion.

Il premio nobel e i suoi collaboratori hanno voluto valutare la sensazione quotidiane in un campione di centinaia di persone; Il metodo impiegato è l’Experience Sampling Method (ESM), che si avvale di un palmare che a intervalli regolari invita l’interessato a comunicare il proprio stato d’animo e la sua intensità premendo un tasto: in questo modo i ricercatori hanno potuto raccogliere interessanti informazioni istantanee relativamente a gioia, irritazione, rabbia, tranquillità, stress, ecc.

Il risultato?

Persone con redditi molto elevati (ad esempio superiori a € 100.000 all’anno)
non godono di una qualità della vita complessivamente migliore
di quella di chi ha un reddito nettamente inferiore

Anzi, sembra esistere una correlazione negativa fra reddito e qualità delle esperienze vissute quotidianamente: redditi consistenti sono associati a un alto livello di stress e ad emozioni negative più intense.

Proviamo ora a tirare le somme.

Kahneman ha affermato che

niente nella vita è tanto importante quanto noi pensiamo
nel momento stesso in cui lo pensiamo

In effetti, specie quando ci troviamo a vivere una situazione insoddisfacente consideriamo l’effetto di un singolo evento, quello che ci porterà a superare il bisogno momentaneo, e tendiamo a mettere a fuoco soltanto quello, esagerandone l’influenza e trascurando altri fattori che possono condizionare la nostra vita.

In questo caso, il desiderio di una vita felice ci porta ad associare al denaro, e a ciò che esso permette di ottenere, il raggiungimento di quella sensazione di benessere che oggi ci manca; ciò che trascuriamo di valutare è l’effetto negativo che il denaro può portare con sé sotto forma di preoccupazioni, impegni e tensioni di varia natura.

Se sei d’accordo nel definire la felicità come una condizione di letizia, gioia e soddisfazione (Sabatini-Coletti), allora non ti meraviglierà il fatto che dalla ricerca di Khaneman e collaboratori emerga che

fra i momenti ai quali attribuiamo massimo benessere troviamo l’attività fisica,
una cena con gli amici, il raccoglimento in meditazione,
la preghiera, il sesso, il tempo dedicato agli hobby.

In conclusione?

Forse non è vero che il denaro non fa la felicità,
ma i due studi che ti ho presentato sembrano dimostrare che
il possederne di più non rende più felici.

Non credi?

Se vuoi approfondire puoi leggere questi libri:

 

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Commenti
Marco 2 Marzo 2015 0:00

Sarebbe da capire se gli intervistati siano mai stati “poveri” precedentemente (quindi sono fondamentalmente “arricchiti” successivamente in seguito ad una vincita) oppure se sono sempre stati ricchi (o ricchi di famiglia) o ancora se hanno guadagnato questa ricchezza con il lavoro: a mio parere la suddivisione non è banale, mi sembra più banale generalizzare sul fatto che “i soldi non danno la felicità”.
Ritengo sia cosa diversa mantanere lo status di ricchezza gestendo un’azienda o gestendo un patrimonio vinto o ereditato: nel primo caso sicuramente le preoccupazioni sono all’ordine del giorno, nel secondo caso – a mio parere – meno.

silvia 3 Marzo 2015 0:00

Per me la felicità è qualcosa di più profondo di quello che tendenzialmente si ritiene. Hobby, cene con amici ed altro possono dare gioia, letizia ma non felicità. La gioia, la letizia sono solo la punta dell’iceberg della felicità. Felicità per me è sapere che il proprio progetto di vita sta andando nella direzione giusta anche se sei in un momento di difficoltà. Si può essere felici anche quando ci si trova ad affrontare difficoltà se la rotta è quella giusta. Personalmente ho provato la verità di quanto scrivo (mi fu detto tanti anni fa ad Assisi in un incontro per giovani) più volte nella vita; anche ora che sono immersa in difficoltà economiche non posso definirmi infelice.

Gianluca 3 Marzo 2015 0:00

Ciao a tutti,
mi sento di condividere il commento di Marco sulle differenze nel gestire differenti tipologie di ricchezze.
Mi è molto piaciuto il commento di Silvia sulla “felicità” come senso del perseguire il proprio progetto di vita, nonostante tutto e, aggiungo, basandosi sulle proprie forze e sull’energia che attingi dall’amore chi ha deciso di starti accanto.
L’obiettivo di carriera, l’aumento di stipendio, lo scatto di livello, l’auto aziendale, sono aspetti importanti di un progetto di vita che però, in certe fasi, vuoi perché ti dedichi ad altra parte del tuo complesso progetto, vuoi perché non sei “pronto” per un cambiamento, vuoi perché semplicemente non hai ancora trovato quello che fa per te, possono serenamente occupare un ruolo secondario.

Detto questo, non faccio l’idealista fino in fondo e non nego che, sapere di poter disporre di un piccolo patrimonio, può aiutare a dormire più serenamente….

ciao a tutti e grazie Arduino per i tuoi spunti sempre fornieri di considerazioni profonde.

Ortnec 3 Marzo 2015 0:00

I soldi non danno la felicità, figuriamoci la miseria.

Secondo me dipende dalla “baseline”. C’è una soglia sotto la quale si rasenta la povertà, se si rimane sopra tale soglia il livello di felicità non lo vedo direttamente correlato alla ricchezza.

Cesare 4 Marzo 2015 0:00

Posto che l’uomo è una bestia strana che più ha e più vorrebbe, personalmente non mi ha mai attirato la ricchezza in quanto tale, il deposito di Zio Paperone in cui nuotare nel denaro “come un pesce baleno”. Credo che l’importante sia avere abbastanza da garantirsi la SERENITA’, cioè la certezza che in ogni caso si sarà in grado di fare fronte al futuro proprio e dei propri figli, con un margine sufficiente a togliersi qualche sfizio – un viaggio, una macchina – ma senza esagerare. La felicità è altra cosa – non sono neanche sicuro che si possa avere come condizione stabile, semmai in brevi momenti – e in ogni caso avere più del necessario per la serenità di cui sopra mi sembra più un ostacolo che un aiuto a raggiungerla.
Se mi guardo in giro, spesso quelli con le auto e i vestiti e gli stili di vita più costosi sono quelli più incazzati, o più arroganti: e da quanto ho purtroppo potuto verificare la ricchezza è dannosissima per i giovani e gli adolescenti, forse perché rende tutto facile e non avere nulla da conquistare è deleterio per la formazione del carattere.

AM 8 Marzo 2015 0:00

Ho aspettato a commentare un post che ritengo molto importante e che ha assorbito molte energie.
Lo scopo che mi sono prefisso, utilizzando nella sostanza lo stesso titolo dell’articolo di Khaneman, è quello di discutere dell’impatto che la ricchezza “incrementale” ha sullo stato d’animo delle persone.
Questo senza necessariamente voler arrivare a verità assolute.
Ciò che è interessante è che persone che hanno vinto alla lotteria a un anno di distanza non ritengono che la loro felicità (l’intervistatore lascia libero il singolo di attribuire il significato alla parola) sia cambiata apprezzabilmente. Possiamo ritenere che fra queste persone non vi fossero indigenti.
Inoltre, il secondo esperimento ci dice che persone con elevati redditi (anche qui parliamo di ricchezza incrementale) significa per i più anche emozioni che deprimono la percezione di felicità individuale.
Un aspetto che non ho toccato, volutamente, nel post è quello che Silvia aiuta a mettere a fuoco: la sintonia del momento che viviamo con un progetto di vita. Possiamo vivere anche momenti molto complicati, ma se questi momenti sono parte di un disegno più ampio e coerente con quello che vogliamo essere o rappresentare nel futuro, allora possiamo provare anche nella difficoltà un senso di felicità enorme.
Cosa ne pensate?
Grazie a tutti del commento e a presto leggervi.
Arduino

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