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Beato te!

10 Settembre 2015 | di Arduino Mancini Le frasi terribili

beata te

Quante volte te l’hanno detto? E come hai reagito?

Il termine “beato” è impiegato per indicare una persona pienamente felice e soddisfatta, che gode di una condizione privilegiata.

Confesso, questa espressione aveva il potere di irritarmi come poche altre e un giorno ho deciso di cercare di rispondere a questa domanda:

perché mi arrabbio quando qualcuno mi dice “beato te!”?

Ho fatto qualche riflessione, che vorrei condividere.

Il “beato te!” è di solito rivolto a chi non si lamenta; se affronti in silenzio le tue difficoltà senza condividerle, troverai certamente chi è pronto a classificarti fra coloro i quali vivono senza i problemi che lui è invece costretto ad affrontare ogni giorno.

Già, perché il confronto fra la tua condizione e la sua è cruciale: tu hai quello che puoi desiderare con relativa facilità, lui no. E poiché non puoi essere migliore di lui, se ottieni risultati superiori questi non possono che essere attribuiti alla fortuna.

Ecco allora emergere due aspetti interessanti: l’invidia e la fortuna.

L’invidia, perché dieto il “beato te!” si cela il malanimo verso la persona che sembra godere di una condizione migliore; e la fortuna, che diventa lo strumento per giustificare una situazione personale insoddisfacente.

Ora torniamo alla domanda iniziale: perché mi arrabbiavo quando qualcuno mi diceva “beato te!”?

Ciò che mi irritava era il fatto che la persona che avevo di fronte attribuisse alla buona sorte i risultati che riteneva che avessi raggiunto, senza riconoscermene i meriti.

Come affrontare situazioni simili? Cosa rispondere a una persona che ti dice “beato te!”?

Se tieni alla persona puoi decidere di impiegare tempo e cautela per spiegarle due cose:

  • chi non si lamenta e non condivide con disinvoltura problemi o difficoltà non ne è necessariamente privo;
  • il tempo e le energie impiegate nel lamento e nel paragone con gli altri per attenuare il senso d’inadeguatezza che le pervade potrebbero essere utilizzati per migliorare la propria condizione.

E se non tieni particolarmente alla persona che ti vuole beatificare?

Se hai tempo e voglia, puoi investire parte del tuo tempo e soffermarti sui due punti già citati, con la consapevolezza che indurre un cambiamento nell’atteggiamento di una persona invidiosa potrebbe rivelarsi un’impresa oltremodo lunga e faticosa.

In ogni caso, la cosa peggiore che tu possa fare per una persona invidiosa è lasciarla nel suo brodo, a consumare energie nel rimuginare mestamente sulla propria condizione: ovviamente attribuibile in toto alla sfortuna.

Come hai detto? Non ha voglia di sbatterti e tutto quello che vuoi è non sentirti dire “beato te”?

In questo caso hai da fare solo una semplice cosa: comincia a lamentarti e vedrai che farai il vuoto.

Pensi di farcela?

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Commenti
Fabrizio 16 Settembre 2015 0:00

Splendida analisi, complimenti! Rifacendomi ad un libro che ci hai più volte consigliato (I giochi che giochiamo) mi verrebbe da dire che chi si lamenta sta cercando di avviare un gioco psicologico ricoprendo la parte della vittima ed invitando a giocare l’interlocutore: o nella parte del salvatore-consolatore, quindi richiedendo il compatimento; o nella parte del persecutore, in quanto l’invito a darsi da fare verrebbe visto come un’incomprensione, provocando un vittimismo ancora più esasperato. Splendida la tua risposta: non mi interessa perdere tempo a giocare, se vuoi affrontiamo la situazione da un punto di vista razionale, diversamente cuociti nel tuo brodo!
Ti ringrazio e ti invio i miei fraterni saluti
Fabrizio

AM 18 Settembre 2015 0:00

Grazie Fabrizio,
sempre un piacere leggerti.
Arduino

Stefano Marchetto 6 Novembre 2017 0:00

Condivido il commento di Fabrizio, secondo il mio punto di vista all’esclamazione “Beato te!” si potrebbero aggiungere un altro paio di parole, che non vengono mai dette da chi risponde in questo modo….Beato te! che in realtà sei più coraggioso di me.
Dico bene?

AM 21 Novembre 2017 0:00

Dici benissimo :-)!
A presto leggerti,
Arduino

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