Quando il risveglio del manager può essere traumatico...
Ricevo questa e-mail da un lettore appassionato che ha voluto raccontarci una storia purtroppo comune.
Buona lettura.
Caro Arduino,
ho riflettuto sul tuo post Il pettegolezzo fa bene all’organizzazione, che mi ha molto colpito.
Qui vorrei esprimere il mio parere e raccontare la mia esperienza.
Quello che tu dici, ho avuto modo di testarlo personalmente durante il mio periodo di lavoro in una nota azienda parastatale italiana di cui sono stato dipendente per un po’ di tempo.
Prima di un lungo periodo di cassa integrazione, in azienda, vicino alle macchinette del caffè si parlava solo di quello che sarebbe accaduto; tutti sapevano tutto e, chi più chi meno, anche preparati: insomma, avevamo mandato giù il rospo.
Puntualmente si parlava anche del futuro e l’attenzione era monopolizzata dai prossimi cambiamenti al vertice, chiacchiere puntualmente confermate dall’arrivo di capi incompetenti e raccomandati.
Atteggiamento molto diffuso nei dirigenti, soprattutto in quelli collocati nelle posizioni più “alte”, era “il far finta di non sapere” quando si trovavano di fronte alle evidenti situazioni di confusione e conflitto che costantemente si generavano in stabilimento; la responsabilità era costantemente attribuita a chi li aveva preceduti, quelli che non avevano combinato altro che “casini”: “se solo lo avessi saputo” era il tormentone…
Già, se lo avessi saputo cosa avresti fatto? Avresti rinunciato al lauto stipendio e alla posizione che ti dava anche lustro sociale?
Che disgusto, ora so che ho fatto bene a lasciare quella massa di imbroglioni, nullafacenti e parassiti. Sembrava di vivere tutti in un film di Pierino: tutti furbissimi e tutti, in realtà, stupidissimi….
E quanto fossero stupidi si è capito dopo, quando sono arrivati gli Americani che hanno acquisito l’azienda.
Come essi si sono comportati con il personale?
Loro non hanno avuto pietà, caro Arduino, altro che cassa integrazione e nuovo organigramma alla macchinetta del caffè; io sapevo come sarebbero andate le cose, anche grazie alle esperienze di lavoro all’estero, ed ho avvisato miei collaboratori e capi con i quali avevo un buon rapporto circa quanto sarebbe accaduto.
Dopo un anno di transizione, durante il quale nulla sembrava destinato a cambiare, cominciarono le “misurazioni”: perché gli americani, con il loro pragmatismo, quantificano tutto. Risultati reali in mano (i fogli excel taroccati non bastarono più), cominciò la “ristrutturazione”.
Molti “vecchi” capi furono licenziati con una sola settimana di preavviso o invitati a prestare la loro “utilissima opera” in altre sedi come India, Canada, Medio Oriente ecc.).
Ironia della sorte, a rimetterci le penne per primi furono proprio quei dirigenti che da sempre sognavano di “diventare americani”, ma avevano dimenticato che ” The winner takes it all and no more ace to play (il vincitore prende tutto e non hai altri assi da giocare)”; lo stipendio era diventato americano, ma le fregature pure.
Che ne era stato delle chiacchiere alla macchinetta del caffè, delle beghe sindacali, delle indiscrezioni sul nuovo organigramma? Nulla, tutto perduto.
Come perduta era anche la speranza, da parte dei dirigenti che sognavano di diventare americani, di riuscire a cavarsela anche in una situazione in cui le relazioni con l’apparato italiano si sarebbero indebolite; “Mamma Italia” non avrebbe avuto tante possibilità di intervenire in loro soccorso.
Mi dispiace solo per gli operai e tanti bravi tecnici che lavoravano duramente per mantenere la famiglia ed ora rischiano grosso anche loro; ma molti di loro sono preparati e qualche possibilità in più ce l’hanno.
Chi vivrà vedrà….
Eccoti giunto al temine. Come commenti il messaggio del lettore?
Hai vissuto esperienze simili alla sua?