Perché non siamo felici?
Perché le comunità sembrano non trovare serenità anche quando sono riuscite a vincere malattie e povertà?
Perché sembriamo destinati a essere infelici?
Perché il benessere non ci ha portato la felicità?
Ho provato diverse volte a scrivere un post per rispondere a queste domande, accartocciando il foglio sul quale avevo annotato un po’ di idee.
Poi, come non di rado accade, ho trovato le parole di Bertrand Russell, il quale ha risposto splendidamente a gli interrogativi che mi ponevo.
Leggiamo insieme le sue parole.
Né la miseria, né la follia mi sembrano far parte inevitabile del destino dell’uomo.
Mi sono convinto” che l’intelligenza, la pazienza e l’eloquenza, prima o poi, possono liberare la razza umana dalle torture che essa stessa si è imposta, purché nel frattempo essa non si stermini da sé.
Sulla base di queste convinzioni, ho sempre avuto una certa misura d’ottimismo, benché, invecchiando, il mio ottimismo si sia fatto più guardingo, e il felice risultato finale sia venuto ad apparirmi più lontano.
Ma resto del tutto incapace d’andare d’accordo con coloro che accettano fatalisticamente l’opinione che l’uomo sia nato per l’infelicità. Le cause dell’infelicità umana, nel passato e nel presente, non sono difficili da accertare.
Sono state la povertà, la peste e la carestia, le quali erano dovute al fatto che l’uomo possedeva, sulla natura, un dominio inadeguato. Ci sono state guerre, oppressioni e torture, dovute all’ostilità di certi uomini per altri uomini. E vi sono state morbose infelicità fomentate da cupe credenze, le quali hanno indotto gli uomini a forme profonde di discordie interiori, cosicché tutta la loro prosperità esteriore non poteva servire a nulla.
Nessuna di queste cose è inevitabile. Nei confronti di ciascuna di esse, si conoscono i
mezzi per vincerle.
Nel mondo moderno, se le comunità sono infelici, è perché vogliono esserlo.
O, per parlare con maggiore precisione, perché hanno forme d’ignoranza, abitudini, credenze e passioni che tengono più care della felicità, o persino della vita.
In questa nostra epoca pericolosa, trovo molti uomini che sembrano innamorati della sventura e della morte e vanno su tutte le furie quando vengono loro suggerite ragioni di speranza.
(Ritratti a memoria, 1969)
Cosa ne pensi?
Caro Arduino,
la mia risposta è breve e concisa: chi è infelice, spende e consuma di più. Secondo Russell “Nel mondo moderno, se le comunità sono infelici, è perché vogliono esserlo”. Concordo, e rilancio: perché conviene a molti che le comunità lo siano.
Cinica? Direi più realistica: ultimamente, per vendere basta dire “lasciati coccolare dal tal prodotto, lasciati viziare…”. Abbiamo forse dimenticato che sono le persone a coccolare o viziare, e non yogurt e spa?
Ti leggo sempre con piacere!
Alla prossima,
Sara
Interessante commento Sara, come sempre.
Grazie e a presto leggerti.
Arduino