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Le 5 ragioni che ti motivano a ricoprire un ruolo
In questo blog ho toccato in più di un’occasione il tema della motivazione al lavoro; tuttavia, ho fin qui trascurato le diverse forme che essa può assumere.
Oggi proverò a rispondere a una domanda per niente banale:
Che cosa può spingere una persona a ricoprire un ruolo specifico? C’è solo un tipo di motivazione oppure possiamo individuarne diversi?
Ecco le 5 possibili ragioni che ho individuato.
Possiamo incontrare situazioni in cui ina persona trova il ruolo interessante…
- … per i contenuti: prestigio dell’azienda, responsabilità, contesto organizzativo e pacchetto retributivo sono ben bilanciati e in linea con le sue aspirazioni;
- … ma solo in parte, mentre è attratto dall’azienda: un contesto che ha determinate peculiarità (prestigio, possibilità di carriera, possibilità di imparare a contatto di esperti riconosciuti, ecc.) può rappresentare un punto di partenza per sviluppi professionali all’interno della stessa impresa. Insomma, l’importante è essere lì per giocarsela;
- … perché permette di maturare esperienze spendibili altrove. Ad esempio, lavorare per un periodo significativo in un’azienda che ha una solida reputazione nel Social Media Marketing può ampliare notevolmente il numero di imprese nelle quali trovare impiego futuro. E dopo aver messo nel sacco la necessaria esperienza tutto viene riconsiderato;
- … perché il pacchetto retributivo è interessante. L’ansia di contenere il costo del lavoro porta molte imprese a mantenere al di sotto dei livelli di benchmark le retribuzioni anche delle persone che avrebbero interesse a trattenere. E quando una persona preparata non si vede valorizzata può decidere di cogliere la prima opportunità interessante dal punto di vista salariale. Il rischio per chi lo assume? Quello, vecchio come il mondo, di legare il cane con la salsiccia;
- … perché non ha altra soluzione. Ad esempio, la persona è in uscita dall’azienda dove lavora (il rapporto è compromesso e si sta cercando un accordo, il contratto è scaduto, il rapporto si è già interrotto, ecc.) e la cosa non è nota. per questo, il candidato è motivatissimo a trovare un’occupazione, ma non è affatto detto che quella che gli si offre sia quella che lui preferirebbe. Insomma, stabilizzata la situazione è possibile cominciare una ricerca calma ragionata verso mete più interessanti.
Quale comportamento suggerire a candidato e selezionatore?
Il candidato farà bene a prendere consapevolezza delle ragioni che lo spingono a proporsi per un determinato ruolo; questo lo aiuterà a definire una strategia e ad accrescere le probabilità di successo.
Al selezionatore raccomanderei invece di approfondire le reali motivazioni della persona che ha di fronte, perché troppo spesso il desiderio di chiudere in fretta la ricerca, magari per un profilo che brilla per penuria di candidati, spingere a vedere quello che non c’è.
Perché la scelta deve essere sempre consapevole: soprattutto se non è quella ottimale.
Non credi?
Se ti interessa approfondire il tema della motivazione vai al corso Accrescere la motivazione per raggiungere gli obiettivi.
Aggiungerei “alla ricerca del merito”
Io ho da poco dato le dimissioni allo studio professionale nel quale lavoravo da 7 anni per mancanza di riconoscimento di merito, non necessariamente legato alla sola retribuzione, certo quella aiuta, ma proprio per mancanza di merito professionale. Ho maturato in questi anni parecchie competenze, ero diventato un punto di riferimento per i miei colleghi in alcune aree tematiche, ma il titolare anziché valorizzare il lavoro svolto ha avuto la brillante idea di denigrarlo con affermazioni decisamente irrispettose e fuori luogo per favorire l’avanzata della figlia da poco inserita in azienda.
Ora cambio lavoro, cambio area tematica e la cosa che ho messo come fondamentale, alla quale ho dato la priorità alle persone con cui inizierò questa nuova attività è stata proprio LA MERITOCRAZIA. L’ho messa davanti al denaro perché la considero il vero motore che porta una persona a credere nel lavoro che fa e a non risparmiarsi. Il denaro poi potrà essere il giusto premio a quanto dato. Sarà poesia, utopia, un semplice desiderio, ma ci voglio provare…
Ciao Ciro,
condivido ogni parole.
Ti auguro il meglio e tienimi informato.
A presto leggerti,
Arduino
Credo che potremmo aggiungere anche il desiderio di appartenenza, che è uno dei bisogni fondameentali degli esseri umani (e che pesa anche nella religione organizzata, il tifo per la squadra, la militanza politica), ed è legato anche alla biochimica del cervello. Uno può avere tutte le cose di cui tu parli nell’azienda in cui è, ma non sentirsi (o non sentirsi più) parte di una squadra, e cercarne un’altra con cui condividere successi e insuccessi.
A me è successo questo, e probabilmente non era colpa di nessuno, ma solo del tempo che aveva cambiato me e l’azienda.
Poi, naturalmente, se uno deve lavorare per vivere, deve tener conto anche di altri fattori, ma non sono la vera motivazione.
Anch’io concordo con Ciro: laddove viene meno la meritocrazia, si assiste a un crollo di motivazione ed entusiasmo tali da ponderare l’abbandono del posto di lavoro.
Anche la retribuzione economica ha il suo perché, ma, se si sa creare un gruppo affiatato e motivato, può passare talvolta in secondo piano.
Questo tolti altri tipi di aspirazioni personali… 😉
@Cesare. L’appartenenza potremmo, stiracchiandola, inserirla nel punto due?
Grazie anche Kya del commento.
A presto leggervi,
Arduino