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Ecco una storia che potrà ispirarti!

Come gestire un micromanager?

15 Aprile 2025 | di Arduino Mancini Management e Smanagement - Tu e il tuo capo

In un precedente post ti ho fornito alcune indicazioni per individuare un micromanager, uno di quei supervisor che vogliono sapere sempre tutto di quello che succede, controllano da vicino (troppo da vicino…) il lavoro dei collaboratori e finiscono per delegare poco o niente.

Insomma, persone asfissianti che si nutrono delle proprie insicurezze e tendono a limitare l’autonomia di quanti lavorano con loro per aumentare il controllo sulle loro azioni.

Cosa puoi fare quando ti trovi a lavorare o, meschino, a riportare a una persona del genere?

Come puoi togliertela dalla giugulare e creare le condizioni per lavorare con serenità ed efficacia?

Beh, qualcuno ce l’ha fatta: in questo post voglio raccontarti la sua storia che, come si dice nei film, è ispirata a una vicenda realmente accaduta.

Era la seconda metà degli anni 80 e Giulia, trentenne laureata in economia, si era trasferita a Milano per cogliere l’opportunità di lavorare per una società leader nell’informazione economico-finanziaria.

Aveva risposto a un annuncio e aveva superato la selezione, nonostante la ricerca fosse orientata verso professionisti che fossero, come si dice di solito, “in possesso di solida esperienza di vendita nel mercato di riferimento”.

Il suo sogno di lavorare nel mercato della finanza diventava finalmente realtà.

Unica donna in un team di navigati professionisti, Giulia ed era stata accolta con un certo scetticismo: perché andare a selezionare una persona con nessuna esperienza di vendita (e donna per giunta…) quando la piazza di Milano era in grado di offrire fior di commerciali?

La decisione in favore di Giulia era stata presa dall’amministratore delegato, e nessuno aveva osato metterla in discussione.

Dopo un training di sei mesi, Giulia aveva preso piena responsabilità dell’area geografica che le era stata affidata: un’area che sulla carta non era certo la più potenziale ai fini dei risultati di vendita, ma essendo arrivata buona ultima nel team quella le era toccata.

Quello che successe l’anno successivo, sorprese tutti:

Giulia si piazzò al primo posto nella classifica di nuovi contratti di vendita!

Come era stato possibile?

I più attribuirono il risultato alla fortuna della principiante, e in questo una parte di verità c’era; infatti, i colleghi più “esperti” le avevano lasciato l’area territorialmente più estesa e impegnativa, ma che si era anche rilevata alla prova dei fatti a più alto potenziale.

Va anche detto che Giulia lavorava sodo, aveva una straordinaria capacità di costruire relazioni che consolidava con cura nelle frequenti visite ai Clienti in portafoglio (principalmente banche, grandi imprese e istituzioni finanziarie).

Alla fine di quel primo anno, che aveva messo in discussione le certezze di cotanti professionisti della vendita, l’amministratore delegato decise che era venuto il momento di nominare un sales manager per il Nord Italia: la scelta cadde su Astolfo, un collega di 35 anni che aveva avuto in passato una seppur breve esperienza della gestione di una rete di vendita.

Uno che, a vederlo lavorare, non suscitava nei colleghi l’istinto di associarlo un’aquila.

Inizialmente Giulia non l’aveva presa benissimo (un pensierino, alla luce dei risultati, alla posizione di sales manager ce l’aveva fatta…); poi se ne era fatta una ragione.

Ma già nella prima settimana della gestione da parte di Astolfo cominciarono le difficoltà.

Quest’ultimo esercitava un controllo assiduo sul lavoro dei colleghi, un controllo che diventava asfissiante nel caso di Giulia. Voleva conoscere tutto del suo lavoro: il calendario visite, i dettagli relativi alle trattative aperte, i risultati di ogni appuntamento.

E spesso le imponeva la sua presenza nelle visite ai Clienti.

Proprio in queste occasioni Astolfo dava il peggio di sé; sempre in ritardo su tutto, pretendeva di preparare le trattative in taxi, sottoponendo Giulia a un vero e proprio interrogatorio e togliendole il tempo e la concentrazione necessaria a prepararsi.

Davanti al Cliente poi, l’uomo non perdeva occasione per fare sfoggio del proprio potere, segnando la differenza gerarchica con la collega attraverso generose concessioni; concessioni che mandavano all’aria qualunque piano negoziale in precedenza preparato da Giulia.

Al ritorno, in taxi, Astolfo non perdeva occasione per rendere evidente alla collega il suo contributo alla positiva conclusione della trattativa; oppure, come accadeva quando ne uscivano pestati come cotolette, accoglieva la sconfitta con il più classico dei “di più non potevamo fare”.

In capo a un paio di mesi la poveretta era esausta; perché Astolfo si comportava così? Perché non le lasciava spazio, nonostante avesse portato a casa risultati migliori di quelli di colleghi più navigati?

All’inizio aveva pensato che quello del sales manager fosse un modo per mostrare un interesse di natura più personale, ma poi si era resa conto che l’uomo era solito fare il “piacione” con più o meno tutte le giovani colleghe: insomma, fortunatamente niente di più…

Giulia decise così di adottare una strategia di resistenza passiva!

Presentava un calendario appuntamenti incompleto, quando doveva recarsi da un Cliente si dileguava in silenzio “dimenticando” Astolfo in ufficio, si ritirava alla toilette nel bel mezzo degli interminabili incontri di allineamento aspettando che lui li interrompesse per raggiunti limiti di tempo.

Ma ben presto la situazione divenne insostenibile e Astolfo mise Giulia in un angolo; le spiegò che lui non voleva a controllare il suo lavoro ma sostenere la sua crescita professionale. Lei era alla prima esperienza nella vendita ed era suo dovere, di Astolfo, curare la sua formazione: non le restava che accettarlo.

Ma la collega aveva una visione diversa della situazione; per lei era evidente che il sales manager la considerava una pericolosa concorrente e vedeva i suoi risultati come una minaccia con la quale prima o poi lui avrebbe dovuto fare i conti.

Fu così che Giulia cambiò completamente strategia.

Niente più resistenza passiva ma un atteggiamento aggressivo verso l’agenda di Astolfo:

  • cominciò a chiedergli aiuto in ogni momento della giornata:
  • quando lo incontrava nel corridoio lo fermava per chiedergli consiglio su una trattativa cruciale, inchiodandolo per almeno un quarto d’ora con un diluvio di domande;
  • interveniva in qualunque conversazione Astolfo fosse impegnato con un collega, interrompendolo per ottenere i suoi inestimabili suggerimenti;
  • piombava nel suo ufficio quando era in riunione, chiedendo di essere richiamata al termine per discutere di una questione urgente;
  • gli incontri di allineamento fra i due, inizialmente programmati per durare al massimo 45 minuti, si protraevano ben oltre i 60 perché Giulia aveva cura di infarcire ogni racconto con dettagli irrilevanti. E Astolfo finiva per perdere la pazienza, soprattutto perché la collega si lamentava di non avere abbastanza attenzione e chiedeva di proseguire in giornata per esaurire i temi in agenda;
  • Giulia cominciò a chiedere ad Astolfo di accompagnarla in tutti, proprio tutti gli appuntamenti che fissava a Milano e a volte anche nelle trasferte. E per fare questo lo interrompeva in qualunque momento della giornata, provocando in lui una crescente insofferenza.

Dopo un mese di inseguimenti l’atteggiamento di Astolfo cambiò: ora il suo problema non era più quello di far sentire il suo fiato sul colo di Giulia, ma quello di sottrarsi alla caccia senza quartiere cui la collega lo sottoponeva.

Il pover’uomo non aveva più tempo per fare il suo lavoro e aveva visto la sua giornata trasformarsi in un perenne tentativo di fuga, trovando pace solo quando lei era lontana; e neanche troppo, perché anche quando in trasferta Giulia non mancava di telefonargli per chiedere consiglio.

Fu a questo punto che

Astolfo decise di prendere il toro per le corna per riappropriarsi del suo tempo.

Spiegò a Giulia che era tempo che prendesse fiducia in se stessa e si rendesse finalmente autonoma perché, se avesse continuato a chiedere continuamente aiuto, sarebbe stato suo malgrado costretto e ridurre il suo portafoglio Clienti, affidando ad altri colleghi i Clienti pi prestigiosi.

Giulia riuscì a dissimulare la sua incontenibile gioia e assunse un’espressione contrita; promise che avrebbe fatto del suo meglio per diventare più autonoma e si fece promettere da Astolfo che non le avrebbe fatto mancare il suo sostegno, quando necessario.

Nei mesi successivi Giulia ebbe cura di non mostrare bruschi cambiamenti di atteggiamento, e in Astolfo si materializzò la sensazione che la crescita di autonomia e le buone prestazioni fossero dovute in tutto e per tutto alla fase di intenso “training” al quale lui aveva sottoposto la collega.

E che i risultati di vendita di Giulia, inizialmente dovuti alla buona sorte, ora erano stabilmente legati a una solida preparazione professionale.

Morale della storia?

I micromanager sono persone semplici…

 

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