La gara occulta dei medici del doping
Il ciclismo ha il fiato corto.
In Italia indagano 10 procure, moltissimi cosiddetti campioni sono stati trovati positivi ai contolli antidoping: squalificati e di solito riammessi.
Il capo della procura antidoping del Coni, Ettore Torri, ha qualche giorno fa dichiarato provocatoriamente:
Il doping? Da legalizzare visto che si dopano tutti e noi ne fermiamo uno su 100.
Scandalo, reazioni delle associazioni pedalatorie sia nazionali sia internazionali: che volete, ciascuno difende la pagnotta come può.
Qualcuno, come Francesco Moser, ha anche parlato di un doping minimo accettabile: dichiarazione che sa di implicita ammissione.
Non vi dispiacerà se, sulla faccenda, dirò anche la mia.
Non vi è più competizione ciclistica che abbia una minima credibilità: l’unica competizione che sembra avere un senso è quella fra medici.
Vi spiego come funziona.
È noto che il doping ciclistico provoca tumori, soprattutto al fegato, cardiopatie, cardiomiopatie, danni neurologici e cerebrali.
L’elenco può proseguire.
Le regola non scritta della gara fra medici può essere così sintetizzata:
Se muoiono in seguito fa niente: passato qualche giorno tutto è dimenticato.
Vincono i medici che riescono a rimanere anonimi al grande pubblico, garantendosi automaticamente notorietà e prestigio nell’ambiente.
Che è quello che, per loro, conta.