Molte persone hanno affrontato la lettura di questo libro abbandonandola a causa della difficoltà di cimentarsi nella lettura della lingua italiana del ‘500: l’edizione che qui vi presento prevede il testo originale e la sua versione in italiano contemporaneo di Piero Melograni.
Il Principe è un libro breve, profondo e inquietante, da leggersi tutto intero e magari più volte: un libro che non può perdere chiunque occupi posizioni di comando o a esse intenda prepararsi.
Chi volesse misurare senza indugio la provocazione di questo libro, potrebbe esaminare in primo luogo il capitolo 18, dedicato alla «Lealtà del Principe». In questo capitolo Machiavelli svela alcuni fra gli aspetti più sconvolgenti e segreti del potere del Principe.
Afferma che “il Principe, all’occorrenza, deve saper esser bestia oltre che uomo, deve essere in grado di simulare e deve potersi muovere con competenza nel regno del male”.
Al Principe è richiesto di fare «quel che occorre per vincere e conservare il potere» e dunque, in caso di bisogno, anche uccidere. Nel cap. 7, il modello additato al lettore è quello di Cesare Borgia, duca di Valentino, uomo assai capace nel mentire, corrompere e trucidare.
Sarebbe profondamente sbagliato, tuttavia, ridurre il contenuto del libro a queste efferatezze, anche perché preoccupazione costante di Machiavelli è quella di consigliare al Principe di reggersi sul consenso. Il Principe – leggiamo, infatti – non deve esser «sempre costretto a tenere il coltello in mano», ma deve cercare di fare il bene dei suoi sudditi e, se gli sarà necessario comportarsi in modo crudele, le sue crudeltà dovranno essere «bene usate», vale a dire compiute una volta per tutte, allo scopo di porsi in salvo, senza insistere e cercando invece «di assicurare ai propri sudditi il maggior vantaggio possibile» (cap. 7).
«Un Principe – scrive Machiavelli – deve avere il popolo amico, altrimenti, nelle avversità, non può salvarsi» (cap. 9). Chi governa dovrebbe suscitare timore senza suscitare odio, dato che «si può essere temuti e nello stesso tempo non odiati» (cap. 17). L’intero cap. 21, del resto, è dedicato da Machiavelli al tema: «Come un Principe può farsi stimare».
L’arte di governare sembra dunque consistere nel trovare un punto di equilibrio fra gli antitetici condizionamenti della vita reale. Un Principe di qualità dovrà essere in grado di destreggiarsi tra amici e nemici, tra consiglieri fidati e adulatori, tra aspirazioni di pace ed esigenze di guerra, oltre che tra uso della forza e ricerca dei consenso. E nel farsi bestia, egli dovrà capire quando gli converrà imitare le qualità della volpe e quando quelle del leone, poiché «coloro che si limitano a essere leoni non conoscono l’arte di governare» (cap. 18).
Come se non bastasse, nell’affrontare le difficoltà del potere, il Principe finisce per scoprire che il successo è determinato da strane combinazioni di «virtù» e di «fortuna» soltanto in parte controllabili. Le «virtù» del Principe machiavelliano sono ovviamente prive del loro tradizionale significato etico e corrispondono piuttosto alle capacità, alle energie, all’efficienza. La «fortuna», viceversa, è un fattore esterno al Principe, costituito dalle occasioni, dal caso e dall’incontrollabile flusso degli eventi. Ma il Principe – secondo Machiavelli – può costruire argini contro questo flusso, adattare i suoi metodi alla mutabilità delle circostanze e battersi contro le avversità «perché la fortuna è donna ed è necessario, volendola sottomettere, percuoterla e contrastarla» (cap. 25).
Degli uomini in generale, secondo Machiavelli, «si può dir questo: che sono ingrati, volubili, simulatori e dissimulatori, timorosi dei pericoli, avidi dei guadagni» e, come se non bastasse, anche «malvagi» (cap. 17). La malvagità dei principi, in ultima analisi, non è che una conseguenza delle malvagità altrui.
In politica non può esistere un partito del bene capace di prevalere servendosi esclusivamente di strumenti onesti e leali: «la condizione umana non lo consente» (cap. 15). Un capo il quale volesse sempre comportarsi da persona buona, in una società popolata da tante persone non buone, finirebbe per rovinarsi: «Ed è pertanto necessario che un Principe, per restare al potere, impari a poter essere non buono, e a seguire o non questa regola, secondo le necessità» (cap. 15).
Il Principe è un libro realista, privo del buonismo del quale è intrisa gran parte dei libri sulla leadership che troviamo in libreria. Un libro che ha fatto molto discutere anche il potere politico: vi faceva esplicito riferimento Mussolini, Antonio Gramsci lo esaltava come primo giacobino italiano, Lenin vi faceva riferimento menzionando la necessità di requisire i beni della Chiesa.
Il povero Machiavelli tirato per la giacca da destra e da sinistra.
Che cosa del Principe può essere utile a chi vuole studiare da leader?
A mio avviso il disincanto, perché in nessun momento Niccolò Machiavelli indugia sul Principe “buono”, ma vede la gestione di potere nella pienezza del chiaro-scuro che rappresenta, a mio avviso, uno dei suoi tratti caratteristici.
Il libro contiene un’ampia cronologia della vita e delle opere di Niccolò Machiavelli e un indice dei nomi, dei popoli e delle località menzionate.
Da non perdere.