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Sempre una gran seccatura. E ti spiego perché...
Cosa rappresenta un dimissionario per il suo (ex) capo?
3 Ottobre 2011 | Dimissioni, che problema!
Post aggiornato il 25 marzo 2020
Te lo dico io: una gran seccatura.
E ti spiego perché, analizzando tre casi estremi.
- Il dimissionario è molto, ma molto bravo. Tanto da creare un vuoto difficilmente colmabile nel breve. Naturalmente l’organizzazione gli avrà dato una mano a diventare insostituibile lasciandogli gestire una mole impressionante di attività critiche: del resto se uno sa fare le cose e vuole farle perché frenarlo? Come si giustificherà il suo capo con il suo superiore e con quelli del personale? “Non hai saputo motivarlo”, “abbiamo perso una pedina chiave”, “sostituirlo ci costerà un sacco di soldi”, questi i commenti più probabili. Lo so, il capo in cuor suo potrebbe essere contento di averlo perso, in fondo quello lì rischiava di diventare un concorrente. Magra consolazione nel mare delle seccature ma meglio di niente.
- Il dimissionario fa il suo onesto lavoro, senza infamia e senza lode. La sostituzione prenderà comunque del tempo, bisognerà trovare nuovi equilibri organizzativi (ohi, che dolore…) o addirittura attivare una selezione. Il capo avrà meno problemi? Difficile che il diretto superiore e quelli del personale gliela facciano passare liscia: inoltre, non potrà nemmeno consolarsi con il fatto di essersi liberato di un pericolo.
- Il dimissionario è uno di cui tutti vorrebbero liberarsi. Lavativo e poco preparato, la preoccupazione del suo capo era principalmente quella di evitare che combinasse guai. Tutti felici, allora? Non proprio. Innanzitutto l’organizzazione dovrà imparare a convivere con una situazione nuova: quella in cui può preoccuparsi di funzionare meglio e abbandonare il ruolo di badante. Un po’ come accade nelle famiglie quando un malato da lungo tempo guarisce e tutti faticano a rientrare nella normalità. Ma la situazione più difficile dovrà affrontarla, ancora una volta, il povero capo; il quale dovrà affrontare un dubbio strisciante, che nessuno oserà palesare:
Come ha fatto uno così a trovare un posto? Se lo ha trovato forse non era così male, o no? E se non era così male, che fosse il suo capo il vero problema?
Insomma, concludo il post affermando che per il capo le dimissioni di un collaboratore rappresentano sempre un problema: ma se uno se ne deve andare, meglio che se ne vada uno bravo.
Cosa ne pensi?
Trovi il post anche nel libro Palmiro e lo (s)management delle Risorse Umane – Tattiche di sopravvivenza aziendale.
Dipende dai punti di vista, penso.
Per l’azienda è una perdita se è molto bravo e tutto sommato faceva comodo anche al suo capo.
Si parla tanto di talenti, se ne va via uno di sicuro il tasso di qualitá nel gruppo di lavoro si abbassa e forse anche la produttivitá. O no?
Ciao Arduino
Che la perdita di uno bravo sia più pesante di quella di uno di cui faresti volentieri a meno non c’é dubbio, a mio avviso.
Ma l’articolo è focalizzato sul capo e volutamente ironico per concentrare l’attenzione come, a volte, le dinamiche organizzative possano farci trovare più “conveniente ” perdere piuttosto che guadagnare.
Grazie Rino,
e a presto leggerti!
..meglio che se ne vada uno bravo …
se l’azienda e’ grande…e le mansioni del soggetto in questione sono caricabili temporaneamente su piu’ spalle alternative…
ma so di piccole aziende dove il capo si e’ messo in ginocchio per mantenere in azienda un soggetto dimissionario ; che aveva “formato su misura” .
Considerazione personale un po’ fuori tema:
ho notato che nei momenti di “stretta”
sono sempre i piu bravi ad andare via per primi..non cedono ad eventuali “rilanci” dei loro capi , e per quanta crisi ci sia in giro ..trovano sempre delle buone collocazioni …
saluti.
Fuori tema?
Se non avessi timore di sembrarti funereo direi che “se ne vanno sempre i migliori”.
Poiché sa di luogo comune allora ti dico che nei momenti di stretta difficilmente ce la possiamo cavare senza la materia prima: la competenza.
E allora dico che”i migliori hanno sempre maggiori probabilità di andarnese o di resistere agli scossoni delle “strette”.
A presto leggerti,
Arduino
Spesso mi trovo a gestire dei collaboratori. Alcuni a volte se ne vanno. E’ il mercato del lavoro. Non vale solo in una direzione, cioè l’azienda che tira “al ribasso”, come spesso capita (ribasso sia economico che di scarsa propensione alla crescita: uno bravo che volesse crescere spesso lo si lascia nella sua posizione perchè altrimenti si fa fatica a sostituirlo nel suo ruolo precedente). Vale anche nell’altro senso. Un dipendente “vende” il proprio lavoro. La vendita, di nuovo, non è solo un fattore meramente economico.
Però capita spesso di andare a chiedere degli incentivi economici e la risposta è quasi sempre negativa. Fino a che poi il collaboratore se ne va. A questo punto c’è chi prova col rilancio.
Ecco, se capitasse a me non accetterei mai il rilancio. Non mi piace ricattare. Se chiedo qualcosa credo di meritarmelo. Se solo messi alle strette si ottiene, allora vuol dire che quanto chiesto era giusto. E allora la sensazione di essere presi in giro nasce…
Condivido pienamente il tuo comportamento.
A presto leggerti,
Arduino
Credo che dipenda anche dal taglio dell’azienda con cui Ci si trova a che fare.Per la piccola azienda le dimissioni sono sempre uno shock , dovuto al fatto che ogni tassello dell’azienda ha le proprie peculiarieta’ e sono nel breve difficilmente sostituibili. In una azienda strutturata le dimensioni, a volte……spesso, sono opportunita’ e per ridurre costi ( soprattutto in questo momento) e per promuovere personale che dal basso scalpita ed avrebbe poche opportunita’ di crescita. Nel breve le dimissioni sono sempre un problema per il capo, ma e’ il tempo che mette ognuno al proprio posto….SALUTI
Bellissima dissertazione con sorriso finale. Tutto vero, ho conosciuto molti imprenditori (capi o aziende) a cui l’articolo calza a pennello! Il fenomeno “dimissionario” dovrebbe essere oggetto di preoccupazione (nel senso di “occuparsene prima” che si manifesti). Quando un collaboratore lascia (dico lascia, non che viene cacciato) è quasi sempre una sconfitta per l’azienda, forse incapace di generare prospettive e soddisfazione per la persona. Peccato però!
@Gerardo.
Quella di cui parli è sana gestione.
A presto leggerti, Arduino
Ciao Arduino,
il tema è estremamente interessante perché moltissime persone non hanno ancora capito che le aziende sono fatte da persone, e allora se una di queste se ne va, il risultato è che finisce un pezzo di azienda.
Allora è inutile piangere sul latte versato, la differenza tra aziende eccellenti e aziende mediocri o addirittura in crisi sta sicuramente nella gestione delle persone.
Buongiorno;
Dissento …
:o)
le aziende sono fatte di persone …
anche ! ma non solo .
Le variabili in cui e’ collocata l’azienda sono importanti ( azienda di servizi , mera produzione di catena , azienda con alto profilo tecnologico, ecc..)
Se uno bravo se ne va e lavorava in una piccola azienda dove ,ad esempio , era l’unico progettista , e’ sicuramente una cosa drammatica , e il suo capo sara’ veramente nei guai ..Non e’ stato molto acuto se ha permesso al dipendente di arrivare a dimettersi …
Se pero’ il bravo progettista lavora in un team di bravi progettisti, forse l’uscita di uno di loro e l’ingresso prossimo di uno nuovo , serve per rinfrescare un po’ l’ambiente e portare magari anche concetti nuovi nel team.
Dovra poi essere il capo a riuscire a riorganizzare per i nuovi ecquilibri richiesti …
Siamo stati tutti abituati fino a ieri a pensare al posto fisso e abbiamo teso a costruire con il nostro lavoro un pezzo dell’azienda ..
Ma oggi tutto si muove e il punto non e’ se sia giusto o meno …anzi domandarselo e’ irrilevante , prima ne prendiamo coscenza e prima impareremo a muoverci in questa nuova condizione di mercato del lavoro ( a tutti i livelli professionali , inferiori e superiori)
Siamo avvantaggiati in quanto Italiani , la nostra storia e’ la prova che ce la faremo …
@Gennaro. Come contraddirti?
@Claudia. Il post è volutamente provocatorio. Condivido la sostanza delle tue affermazioni. Quella secondo la quale ce la faremo perché ce l’abbiamo sempre fatta mi fa pensare al pollo di Russell, il quale si era convinto che l’uomo fosse il suo migliore amico. Fino al giorno di Natale.
Grazie del commento e a presto leggervi.
Arduino