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Una storia divertente. Anzi no...

Quando la difesa del potere finisce nel ridicolo

19 Febbraio 2013 | di Arduino Mancini (S)management delle Risorse Umane - Storie Storielle Storiacce

Post aggiornato il 24 marzo 2020

 

La storia che vado a raccontare, per certi versi tragica e per altri divertente, testimonia come in certi casi la difesa di una posizione di potere non si fermi neanche davanti al ridicolo.

Mettiti comodo.

C’era una volta la sede italiana di una multinazionale che operava nei servizi ad alto valore aggiunto. L’azienda aveva, anche a livello di casa madre, una classica organizzazione per funzioni: direzione tecnica, marketing, vendite, personale, amministrazione e finanza, e così via.

Come moltissime aziende nelle quali i margini sono alti, l’attenzione era concentrata sulle vendite: forte incentivazione dei venditori, processi di previsione e controllo delle vendite strutturati, possibilità di carriera saldamente legate all’esperienza di campo.

Fino a un anno prima dei fatti che vado a raccontare, lavorare in azienda aveva significato stare in paradiso: mercato in espansione, buona retribuzione, stock option a tutti i livelli.

Il potere era saldamente nelle mani del Country manager, del Sales manager e degli uomini di amministrazione e finanza, tutti designati dalla casa madre; li affiancava un pugno di dirigenti «domestici» che aveva fino a quel momento dato prova di grande abilità nel mantenere una buona dose di potere, nonostante l’azienda fosse uno di quei posti impiegati per lanciare manager provenienti dall’estero e destinati a fare carriera.

Il primo semestre di quell’anno aveva segnato una diminuzione dei contratti, tanto brusca quanto inaspettata, legata a una serie di fattori: crisi di borsa, stretta creditizia, improvvise prospettive di recessione.

La casa madre aveva deciso di correre ai ripari cambiando completamente assetto organizzativo e di gestire il business in modo organico: non più una direzione vendite piatta, dove tutti venditori riportavano al Sales manager, ma team responsabili di un portafoglio-clienti nella sua globalità, dalla vendita all’incasso.

Insomma, i grandi Capi diedero vita ad Account Team che avevano al loro interno pre-vendita, vendite, amministrazione, assistenza tecnica, gestione di progetto e recupero crediti; gli scopi erano quelli di gestire il cliente in modo organico, diminuendo i tempi di risposta e tenendo sotto controllo tutte le variabili del
business, e di incrementare il fatturato.

Una struttura siffatta avrebbe scombinato il tranquillo tran-tran aziendale; era a tutti evidente che non si era di fronte ad un assetto passeggero e che la nuova organizzazione avrebbe potuto assestare un colpo mortale al potere dei dirigenti di funzione.

Sì, perché la vera questione era: chi avrebbe guidato gli Account Team?

In una prima fase si formulò l’ipotesi che Direttore Tecnico, Direttore del Personale, Direttore Marketing e Direttore Vendite assumessero una responsabilità diretta nella gestione dei quattro Account Team in via di creazione: ma il corridoio attribuì il rapido dietrofront del management locale alle grasse risate con le quali i grandi Capi della sede centrale sembra avessero accolto la proposta.

Nel segreto di lunghe riunioni furono analizzate le possibili soluzioni ma i dirigenti dovettero rassegnarsi: l’unica strada percorribile, accettata dalla casa madre, era quella di affidare la gestione del business a chi ne possedeva la conoscenza.

Fu così deciso di promuovere i migliori Venditori a manager della nuova struttura, con alcune «cautele»:

  • le persone allocate ai team avrebbero continuato a riportare anche gerarchicamente al responsabile funzionale: gli amministrativi al Direttore Amministrativo, i tecnici al Direttore Tecnico e cosìvia. Le persone sarebbero state «prestate» al team e questo perché le competenze di gestione dei neo-Capi erano tutte da verificare. Insomma, costoro erano considerati alla stregua di ciclisti iscritti al Giro di Francia senza la dotazione di una bicicletta completa in tutte le sue parti;
  • il ruolo dei nuovi Capi fu battezzato «Account Team Coordinator», poiché non era possibile considerare «manager» una persona priva di responsabilità di gestione di persone, e perché questo avrebbe diminuito il rischio di rivendicazione della dirigenza;
  • il ruolo era denominato «Account Team Coordinator» solo internamente: per i clienti, che difficilmente avrebbero compreso l’astruso ragionamento, fu preparato un biglietto da visita con la scritta «Sales manager». In fondo, la cosa importante era mantenere certi «equilibri» interni.

Cosa accade nell’anno successivo?

Alcuni team avevano funzionato secondo le attese, altri meno: il nuovo assetto organizzativo aveva comunque offerto buoni risultati e contribuito a dare nuovo smalto alla gestione del business; soprattutto, i clienti avevano percepito che la nuova struttura era in grado di rispondere meglio alle loro esigenze.

Dopo un periodo d’incertezza le persone allocate ai team cominciarono a considerare gli Account Team Coordinator come loro Capi gerarchici, e a questo tutti si erano tacitamente adeguati: tuttavia,
la circostanza non fu mai resa ufficiale.

Dopo un paio d’anni gli Account Team Coordinator che avevano ottenuto i migliori risultati, pur senza essere «promossi» al rango di manager e senza mai diventare dirigenti, videro crescere la loro influenza nell’organizzazione.

I dirigenti di funzione videro ridurre il loro peso; ai Colleghi non era sfuggita la caparbietà con la quale avevano difeso la loro fettina di potere e questo non fece bene alla loro leadership.

Tuttavia, alla fine i manager di funzione riuscirono a cavarsela, poiché la creazione degli Account Team non aveva messo in discussione la loro posizione e, ciò che più contava, il loro stipendio.

La resistenza, alla fine aveva pagato.

Il ridicolo? Pazienza…

Hai mai assistito a situazioni simili?

 

Trovi il post anche nel libro Palmiro e lo (s)management delle Risorse Umane – Tattiche di sopravvivenza aziendale.

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Commenti
Account Team Coordinator di casa nostra 19 Febbraio 2013 0:00

Buonasera, l’articolo da lei postato mi ha colpito molto ed oggi l’ho condiviso con i miei colleghi/amici anch’essi in gran parte quadri direttivi. Sono rimasto impressionato dalle moltissime analogie che ho trovato tra il modello organizzativo attuato (o meglio che si sta tentando di attuare!)nella mia azienda e la multinazionale da Lei descritta. Per carita’, la forma all’apparenza e’ diversa, da noi non si tratta di “account team coordinator” ma semplicemente di “referenti” ma la sostanza e’ tragicamente identica.Due aziende cosi diverse ed allo stesso tempo cosi simili nell’impostazione. La conclusione che ne traggo e’ che nelle aziende ci sono prima di tutto delle persone e che sono tali indipendentemente dal fatto che lavorino per una grande o micro impresa, che purtroppo la difesa del proprio status quo, specie per una determinata generazione, rimane l’unico scopo o quantomeno il principale e la strategia che vanno ad attuare ha questo come fine massimo. Poco importa se queste politiche di brevissimo respiro attuate oggi rischiano di porre le basi per un futuro problematico per non dire disastroso. Senza cadere nella retorica, se non si mettera’ in primo piano il bene comune rispetto al bene individuale, se non si ritrovera’ un’etica anche all’interno delle aziende e non solamente verso il mercato come va di moda sbandierare di questi tempi, bhe risulta assai difficile vedere per il futuro il bicchiere mezzo pieno perche’ oggi ci sono persone che purtroppo, pur di difendere il proprio potere, quel bicchiere lo stanno rompendo. Nel ringraziarla per lo spazio che mi ha concesso le faccio i complimenti per i temi che tratta e la professionalita’ con cui li affronta.

Account Team Coordinator di casa nostra 19 Febbraio 2013 0:00

Erroneamente e’ “saltata” la prima riga.. io sono un quadro direttivo under 40 di una piccola banca locale.

AM 20 Febbraio 2013 0:00

Ciao,
innanzitutto diamoci del tu, seguendo la regola del blog.
Che dire, se non che la difesa dell’orticello ha caratteristiche spesso simili in organizzazioni anche molto diverse.
Il bene comune? Arriva solo dopo quello personale, a meno che non ci sia sul tema una totale attenzione da parte del top management (il quale, purtroppo, spesso non sfugge alla trappola).
Quando il bicchiere si rompe? Beh, non è detto che siano gli altri a rimetterci e non comunque a salvare la pelle, no?
Dietro tutto ciò c’è spesso una scarsa preparazione e la paura di essere spazzati via, di dover rinunciare a posizione, stipendio, ecc.
Paure del tutto comprensibili, vissute direttamente da chi ti parla.
Come se ne esce?
Costruendo competenza prima di tutto, perché le persone competenti sono più robuste e resistenti, e ricordando quelli che pensi oggi quando domani, sono certo, sarai in cima.
Grazie dei complimenti: se vuoi puoi seguire la newsletter https://www.tibicon.net/tibimail e tibicon su FB https://www.facebook.com/tibicon.
A presto leggerti,
Arduino

Cesare 2 Gennaio 2015 0:00

Arduino, il caso che citi – a parte il ridicolo da te ben messo in evidenza – se non altro ha avuto successo. La mia esperienza, anche diretta, invece è che quando si creano due gerarchie, una effettiva e una formale, e alcune persone si trovano a rispondere a due capi diversi, il rischio è che non si vada tutti nella stessa direzione e il risultato sia drammatico…

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