Intervista a Franco Stefani, Presidente e fondatore di System S.p.A.
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Fiorano Modenese, marzo 2011
Buongiorno ing. Stefani. Ci racconta brevemente il Gruppo System?
System è un gruppo che si basa sulle tecnologie. Quando affrontiamo lo sviluppo di nuove macchine, di nuovi processi o soluzioni produttive quello che facciamo è cercare “il nuovo”, cioè ciò che prima non esisteva.
Per affrontare con successo un progetto di innovazione è indispensabile sia guardare al mercato potenziale sia individuare lo stato dell’arte della tecnologia in relazione a un numero molto elevato di variabili.
Se, per esempio, consideriamo lo stato dell’arte della tecnologia d’imballo nella ceramica dobbiamo analizzare un numero di variabili non inferiore a venti (costi di produzione, materiali, formati, grafica, ecc.) e identificare per ciascuna di esse il valore di riferimento o la qualità attesa cui andremo a confrontarci in sede di sviluppo.
Noi gestiamo l’innovazione di macchine, processi e soluzioni attraverso quattro divisioni: macchine destinate a processi di produzione ceramica [System Ceramics, ndr], la divisione elettronica (di servizio alla produzione delle macchine) [System Electronics, ndr], una forte area software per l’automazione logistica [System Logistics, ndr] e Laminam SpA, una linea di processo e di prodotto completamente innovativa.
Alle spalle di queste divisioni vi sono conoscenze che abbiamo introdotto nel territorio attraverso un gruppo di imprese che raggruppano diverse divisioni di ricerca: partiamo dai tecnopolimeri per arrivare agli espansi in ceramica alleggerita, fino all’elettronica di comunicazione, wireless e quant’altro, per vedere il tutto coerentemente composto in un progetto per la produzione di imballi e soluzioni logistiche.
System è un gruppo multidisciplinare perché non offre solo macchine ma soluzioni di innovazione: ciò che ci differenzia è un’offerta focalizzata sul processo. Posso affermare che ciò che caratterizza la nostra presenza internazionale sono le nostre soluzioni sono fortemente innovative, che nascono da un know-how specifico focalizzato nella co-progettazione: siamo capaci di sederci fianco a fianco con il Cliente e progettare insieme a lui le soluzioni che gli permetteranno di acquisire vantaggio competitivo.
Questo ci permette di sentire meno la competizione perché le soluzioni che proponiamo tendono a essere difficilmente imitabili e difficilmente confrontabili con quelle proposte dalla concorrenza.
Oggi SYSTEM rappresenta una realtà di eccellenza nella decorazione della ceramica, poiché ROTOCOLOR® è leader mondiale, possiede leadership tecnologica nei magazzini automatici, ha inventato il concetto completamente nuovo che è LAMINAM®. Qual è il fulcro di questo talento organizzativo? Come nasce ROTOCOLOR®?
ROTOCOLOR® nasce dalla conoscenza.
Quando mi accingo a pensare una soluzione, devo conoscere lo stato dell’arte, lo scenario che sta intorno, devo sapere a quale risultato voglio arrivare.
ROTOCOLOR® nasce perché fin dal 1970 conoscevo la serigrafia e sono stato tra i primi a produrre macchine automatiche per fare serigrafia.
La serigrafia è un processo molto antico: ha rappresentato uno dei primi trasferimenti su stoffa di pigmenti (400 anni fa).
Nel 1960, la serigrafia è stata portata dalla carta o stoffa alla ceramica con piccoli sistemi meccanici. Da lì ho costruito ROCKET, una macchina rotante che migliorava la produttività: ha tenuto per oltre 10 anni.
Non ho sviluppato a fondo questa tecnologia perché sono uno che fa una cosa e ne pensa subito un’altra per conquistare territori nuovi. Quando ho visto la necessità di cambiare tecnologia, ho creato un piccolo laboratorio in CERAMICS e ho condotto un approfondimento di dettaglio di quelle che erano le esigenze della decorazione.
Sperimento in prima persona perché mi rendo conto, nel fare la ricerca, delle complessità e delle risorse che devo portare in campo.
Se non sei protagonista fino in fondo, finisci col trasferire idee a bravissimi esecutori che portano avanti solo quello che l’interlocutore trasmette loro.
Quando invece entri in prima persona nel processo di innovazione, ne curi le fasi arrivando a semplificare i processi il più possibile, creando prodotti unici.
Perché una soluzione non deve avere niente di superfluo: deve essere essenziale e armonica.
Lei lavora con un piccolo gruppo di persone?
Coordino un piccolo gruppo di ricerca, non più di 10-15 persone, possibilmente ragazzi alla prima esperienza, perché sono ragazzi che accettano consigli, accettano la guida e non propongono la rivisitazione di soluzioni già viste.
Di solito chi progetta migliora cose già fatte per fare meno fatica e questo è un errore enorme.
Secondo Lei a volte attingere a una esperienza già maturata può rappresentare un handicap, mi pare di capire.
Certamente. Da poco ho ricostruito il mio team di progettazione: due persone con me da alcuni anni sono andate in produzione e ho preso due neo-laureati. Ho sostituito le persone perché non sapevano guardare abbastanza avanti e rappresentavano un freno.
Vede, la conoscenza dello stato della tecnologia rappresenta un requisito essenziale per sviluppare l’innovazione; tuttavia, la stessa conoscenza può rappresentare un limite se non si è capaci di abbattere quelle barriere, di varia natura, che ci impediscono di guardare il mondo e i problemi con occhi nuovi.
Uno dei project manager di System Logistics mi ha detto che con Lei aveva avuto degli attriti perché Lei insisteva sulla qualità e sulla semplicità dei processi. Ma quando si è fermato a guardare i risultati ha visto che Stefani aveva ragione quasi sempre.
Questi ragazzi, bravi tecnici, molte volte hanno una visione “amministrativa” dello sviluppo tecnologico. Vanno a prendere cose già fatte e poi fanno dell’assembling: invece bisognerebbe partire sempre da un prato verde per poi riprogettare. Quello che rimane è la nuova conoscenza, che va rimessa in gioco tutte le volte. Rinnovarsi completamente significa non commettere errori storici perché il mondo intorno a noi cambia, le tecnologie cambiano e bisogna utilizzare sempre quelle dell’ultima ora. Anzi, quelle di domani.
Perciò guardare il mondo con l’occhio ingenuo, capaci di utilizzare la conoscenza ma senza farsi influenzare troppo da quello che si è imparato.
Esatto. Se un agricoltore pretende di seminare lo stesso prodotto in due terreni diversi, distanti tra loro 500 km, e ottenere lo stesso risultato commette un errore perché le condizioni sono diverse (clima, terreno, coltura). Se si va a piantare il Sangiovese in Piemonte si sbaglia.
Come nasce l’idea di LAMINAM®?
Dalla conoscenza della ceramica. Nella ceramica ci sono fin da ragazzo e ho visto processi che non si sono mai modificati. Intuivo l’esistenza di errori considerevoli, mai corretti, generati dal pensiero monocorde. Ho provato a cambiare il cuore del processo produttivo: la compattazione, la pressatura delle materie prime e il metodo di cottura.
Da lì ho capito che c’era la possibilità di intraprendere un’avventura completamente nuova, che non aveva niente a che vedere con il processo della ceramica tradizionale. L’unica cosa che non è variata è la materia prima e la temperatura: tutti i cicli di produzione sono stati modificati completamente.
Questo significa osservare tutto il mondo che ci sta intorno. Le materie prime costano sempre di più: si pensi all’energia, ai trasporti, ai pesi, ecc. Nella ceramica si vede solo una superficie, che deve essere anche bella e decorativa, mentre quello che c’è dietro non lo vedo.
LAMINAM® coglie queste caratteristiche di base e porta valori nuovi: un terzo in meno di materie prime, di chilocalorie per chilo cotto, di costi di trasporto. E poi superfici molto più ampie, meglio gestibili dal punto di vista architettonico, pesi inferiori, quindi infrastrutture per sostenere i prodotti molto imponenti. Dal punto di vista della planarità poi, sono perfette.
Oggi nella ceramica tradizionale ci sono problemi di planarità perché il processo è antiquato. Nello stesso tempo, guardando ad altri settori, pensi che i laminati in acciaio sono nati nel 1928 nell’Ohio. Il vetro in sospensione, flotting (liquido fluido di piombo e stagno), è stato fatto nel 1958. Prima era un vetro fuso, che veniva ripreso, calandrato e lavorato in verticale. Quindi, prima degli anni ’50, erano di dimensioni molto piccole. Non esisteva il vetro grande. Nel legno, il multistrato è nato sempre intorno agli anni ’20 perché il legno in anima vera aveva il problema della rottura, delle dimensioni e non si potevano fare gli accostati. Tutti questi processi hanno subito evoluzioni e diminuzioni di costi che in ceramica non sono stati registrati. Nella ceramica tradizionale siamo ancora indietro, siamo ancora alla fonderia e ai balconcini del primo del ‘900 con le ringhiere in ghisa.
Quali sono i riscontri di mercato di LAMINAM®?
Una crescita incoraggiante, tenuto conto della crisi che nel 2009 ha colpito il mercato ceramico. Siamo molto fiduciosi per il futuro.
Possiamo dire che LAMINAM® è una realtà comunque nella quale il gruppo intende investire nel lungo periodo?
Certamente. Siamo convinti che LAMINAM® si affermerà come uno standard di mercato come accaduto per ROTOCOLOR®. In quel caso è stato il processo a conferire valore al risultato. Non mi sono confrontato con una concorrenza e ROTOCOLOR® ha rappresentato un tale salto di qualità da non avere paragoni con ogni altra innovazione ceramica.
Tutto quello che faccio, tutto quello che ho fatto fin da ragazzo e fino a oggi è stato evitare i confronti con altri: conta solo il risultato.
Dobbiamo vendere il nuovo, concetti nuovi, emozioni nuove. Il nostro Cliente compra un bene strumentale, ma anche una strategia di innovazione: la strategia SYSTEM.
Questo modo di concepire l’innovazione è sempre emersa quando, in questi anni, ho incontrato i suoi collaboratori durante i corsi di formazione o i progetti di consulenza. Durante un seminario ho proposto l’esercizio strategico di individuare la vision del gruppo: come loro vedevano l’azienda nel futuro. Ne è scaturito uno slogan davvero interessante: “davanti al futuro”. Questo sembra essere confermato dal suo racconto. SYSTEM è un’organizzazione in possesso di una la vision ben identificata. Ha fatto qualcosa di specifico per realizzare questo?
La mia è stata un’educazione quasi spontanea.
Non mi sono mai preoccupato della concorrenza, ma di fare le cose meglio dello stato dell’arte e in modo diverso: accogliere le difficoltà e dare risposte vere.
Quando riusciamo a presentare ai nostri Clienti soluzioni innovative che permettono di superare le criticità emergenti con pochi sforzi, ottenendo risultati inaspettati, riusciamo anche a rinsaldare le relazioni esistenti.
Abbiamo clienti da 30 anni, con i quali abbiamo stabilito relazioni solide, che ci vengono a trovare: e questo perché abbiamo sempre trasferito loro valore.
Peraltro, una delle peculiarità di SYSTEM rispetto alla media delle imprese italiane è rappresentata dal fatto che SYSTEM ha imparato molto bene a proteggere il valore della conoscenza. Oggi, all’interno del gruppo c’è un ufficio che gestisce la proprietà intellettuale. Come è nata questa esigenza? Intuizione immediata o apprendimento successivo?
A 19 anni, quando ho fatto il primo brevetto. A Sassuolo c’era un officina Morandi e Morandi aveva una Mustang Ford: era già allora un appassionato di macchine. Lui faceva già tanti brevetti. Per capire cosa era il brevetto, un giorno all’oratorio ho visto un signore che lavorava come tecnico alle ceramiche Ragno (Ernesto Cuoghi). Chiesi come si fa a brevettare le idee. Mi diede un libricino rosso dell’Hoepli: “Come depositare il brevetto in Italia”. L’ho letto due o tre volte. Da lì ho pensato come potevo brevettare un sistema di raclatura e ho fatto il primo brevetto: la PRAKTI. All’inizio è stata la proprio la volontà di dare valore alla mia idea. Andai allo studio Morandi di Modena, che si occupava di brevetti, e scrissi con lui tre paginette in cui descrivevo la macchina. Per me è stata una palestra.
Quale reazione ha avuto questo signore di fronte ad un ragazzo di 19 anni che voleva depositare un brevetto?
Era incredulo. Però debbo dire che tutti i consulenti senior che ho incontrato mi hanno aiutato.
Una cosa importante è che non solo SYSTEM brevetta e protegge le proprie idee e la propria conoscenza, ma ha imparato anche a gestire molto bene il contenzioso. Se il mercato sa che un’azienda protegge la proprietà intellettuale, con le buone o con le cattive se necessario, allora la proprietà intellettuale ha un valore. Altrimenti, se sanno che ti copiano e tu non fai niente, ti copiano e basta. So che ci sono stati dei contenziosi piuttosto robusti vinti anche in zone del mondo poco accessibili a noi italiani.
Indubbiamente stiamo cercando di proteggere i nostri valori intangibili in diverse parti del mondo. Appena ci accorgiamo che c’è violazione interveniamo. Ci sono stati anche dei sequestri. Tenga presente che tutto ciò ha bisogno di un’organizzazione e ha molti costi. Certamente cerchiamo di proteggere tutte le aree critiche. Ma non è facile. Ad esempio il successo di ROTOCOLOR® ha generato una decina di cause, parecchie vinte, e diversi giudizi sono ancora in sospeso in Italia e in Europa. In Europa abbiamo avuto sempre ragione perché c’è un giurì molto serio. Ormai la violazione è diventata una prassi. I ladri sono in qualsiasi parte del mondo. Anche se si sta attenti, qualcuno che ruba c’è sempre. Questo è il problema.
Cosa scatta quando ha una nuova idea? C’è un momento particolare di creatività?
Trascorro periodi sterili e periodi in cui mi vengono molte idee e sono costretto a fare delle scelte. I momenti di proliferazione sono momenti fantastici. Non c’è posto al mondo dove sto meglio che con il mio pensiero e la mia realizzazione: sono al settimo cielo, contento, entusiasta. Provo gioia nel pensarle, nel realizzarle e nel documentarle successivamente. Se ogni uomo potesse realizzare i propri sogni come faccio io, non avrebbe gioia più grande. Ovviamente sto bene anche quando vedo le mie figlie e i miei nipoti. La parte che mi dà più soddisfazione è quando riesco a partorire un’idea. Succede quando meno me lo aspetto. Devo essere riposato. Tenga presente che non si arriva a una invenzione dal nulla, ci si arriva considerando tanti elementi e poi si arriva alla soluzione. Il percorso non è semplice. Poi, debbo dire che il buon Dio mi ha dato un’ottima salute, non ho mai perso tempo per ragioni di malattia, quindi ho avuto solo del buono. Mi mancherebbero solo altri 100 anni da vivere per fare quello che ho in mente.
Ci racconti la sua storia dagli esordi.
La mia storia parte in un piccolo caseificio di collina, a 16 km da Sassuolo. In questo piccolo cortile c’era un mulino, un contadino e noi come caseificio: era una piccola comunità rurale.
Qui ho vissuto dai tre ai nove anni. In quel cortile ho visto il mondo. Arrivavano i contadini a portare il latte, gente che andava e veniva dalla mattina presto alla sera tardi, ci si scambiavano le notizie, con le persone che venivano a portare il grano per il mulino, ad esempio.
Nel nostro cortile c’era sempre gente. Il mulino andava ad acqua, c’era anche un bel corso d’acqua. Avevo intorno a me una natura che mi ha dato una tranquillità e un equilibrio incredibili.
All’età di 12 anni sono arrivato a Sassuolo e ho frequentato la prima media professionale. Lì mi sono scontrato con i compagni perché non ero di Sassuolo, ero come un extracomunitario. Il mio soprannome era “Varana”, come il paese dal quale provenivo.
Invece, io avevo una mentalità moderna perché d’estate, per circa quattro anni, sono andato a Milano da mia sorella. Da giugno a settembre vivevo a Milano, in un negozio di salumeria, con i garzoni che portavano la spesa a casa dei clienti.
Ero quindi una cosa strana: conoscevo tutto della città, abitavo nella zona dell’idroscalo. Sono stati momenti bellissimi. La salumeria era ben frequentata.
Già in quegli anni, quando rientravo da Milano ero diverso dagli altri, vestivo, giocavo e mi comportavo in modo diverso. Questo mi ha aiutato molto. Quando ho cominciato l’avviamento professionale, ero considerato il “Varana”. Ero molto vivace, avevo la mia claque, ero un capo-banda.
Invece di studiare andavo in giro a divertirmi (li chiamavano “teddy-boys”, i ragazzi che non crescevano). Non ho finito l’anno di scuola. Un giorno mio padre incontrò un amico che faceva studiare il figlio dai frati. Così mio padre volle che io andassi dai frati Cappuccini, una scuola di tre anni.
Quindi partii con il prete. Ci fermammo a Modena in un convento. Pensai: “Dove mi ha portato?” Arrivammo poi a Corte Maggiore in un collegio molto bello, con il chiostro, le scuole, le camerate, si faceva il teatro di pomeriggio e tante altre attività, e per me era tutto una novità. Non mi piaceva che alle 6 di mattina si dovesse andare a messa. Un freddo cane.
Dopo qualche mese mi sono stufato perché non mi piaceva. Ci sono stato 18 mesi. Ho fatto la prima e seconda media, poi mi sono stancato. Là c’era un frate che mi prendeva con lui a fare gli impianti elettrici: era un radioamatore e lì mi sono convertito all’elettricità e all’elettronica.
Mi regalava dei vecchi interruttori per giocare. Quindi, di nuovo a casa, mi sono iscritto a un istituto tecnico professionale. La scuola mi piaceva. In disegno andavo benissimo. Il primo anno è andato bene. Il secondo anno si studiava elettrotecnica. A 15 anni ho organizzato per il campeggio dell’oratorio tutta la parte logistica e di trasferimento dei materiali.
La cosa bella è che c’era una piccola centralina elettrica e idrica dismessa. Siamo andati su, ho portato fuori i cavi e ho dato illuminazione alle tende dei 70 ragazzi del campeggio. Tutto funzionava perfettamente. Avevamo un amplificatore con musica. Mi piaceva moltissimo. Avevo la mia tenda da solo.
Di fianco c’era il vescovo attuale di Piacenza, Don Luciano Monari, che stava per andare al seminario. Arrivarono i genitori a trovare i figli. Tutti parlavano di Varana perché ero molto dinamico e organizzavo varie attività.
Un direttore della Marazzi chiese cosa facevo nella vita: dissi che avevo finito la scuola ma che avevo voglia di lavorare. Mi disse: mi chiamo Bacci. Quando finisci con il campeggio, vieni fare un colloquio. Nel 1961 andai, mi presentò un capo reparto che mi chiese cosa sapevo fare. Risposi “tutto: saldare, collegamenti elettrici, anche il falegname”. A casa in cantina facevo di tutto, avevo un laboratorio.
Andai alla Marazzi e feci il colloquio. Mi presero subito. Andai da mia mamma a dire che avevo bisogno di due tute, azzurre. Ho scelto io la stoffa e il modello. Quindi cominciai il lavoro. Mi diedero la mia attrezzatura e andavo fuori con una persona più esperta di me: dopo un mese andavo fuori da solo.
Ad un certo punto mi chiesero di fare un impianto elettrico di una piccola automazione, che feci. Individuai una miglioria che era necessaria: le retinatrici (operatrice alle macchine manuali con stampi serigrafici, ndr) della serigrafia avevano un pedale meccanico, quindi la cadenza veniva data dall’operaio.
La prima innovazione fu quella di impiegare un magnete e un temporizzatore, consentendo alla donna di rimanere dentro i tempi. La produttività aumentò del 20% perché avevo ridotto la manualità della donna che doveva ora solo spingere il pedale.
Dopodiché mi misero a disposizione altre due persone: dopo un anno coordinavo il primo gruppo di innovazione. Da lì il mio capo-reparto mi diede fiducia e mi occupai dell’automazione delle macchine serigrafiche in Marazzi. Rimasi lì tre anni e mezzo. Compiuti 21 anni mi iscrissi alla Camera di Commercio di Modena e ho costituii la mia prima società, la COEMSS (Costruzioni Elettromeccaniche Stefani Sassuolo).
Per me il binomio meccanica-elettronica è sempre stato un elemento fondamentale perché la meccanica fine a se stessa non aveva già allora ragione d’essere. Eravamo nel 1965 e avevo capito questo elemento fondamentale quando non esistevano ancora i componenti al silicio. Tenga presente che ho costruito i primi transistor da radioamatore.
Questo è molto interessate perché ci dice una cosa importante: il capire determinate tendenze quando ancora non si sono manifestate genera vantaggio competitivo.
La Marazzi è stata la mia università: era un ambiente industriale all’avanguardia dal punto di vista organizzativo, produttivo, ecc.. C’erano già i centri di costo, i reparti e in quell’ambiente ho imparato tantissimo.
Quando ho fondato la mia prima azienda, non sapevo nulla di contabilità. Non mi interessava la parte amministrativa, sapevo che se avessi raggiunto il risultato tecnico la parte economica sarebbe arrivata comunque.
Ho sempre dato molta importanza a quello che sapevo fare. Non ho mai dato importanza ai facili guadagni, cercando di creare valore dalle mie competenze.
COEMSS nasce nel ’67. Sono arrivato nel comune di Fiorano perché era area depressa per questo motivo e c’erano facilitazioni fiscali. Ho preso un piccolo stabile da un fallimento. Da lì ho impostato la SYSTEM (Sistemi Elettronici Meccanici).
Nel 1975 mi sono spostato qui dove siamo ora, costruendo questo stabilimento. Comprai un terreno agricolo di circa 30.000 metri. Dopo averlo comprato, appoggiai tutti i progetti al comune di Fiorano. Allora il comune era di centro-destra, la sinistra aveva perso per pochi voti. C’era molta conflittualità.
Presentai il progetto dello stabilimento e mi dissero di andare avanti. Litigarono tutti. Cominciai a montare il capannone a febbraio del 1974. Avevo montato tutti i piloni con le gru quando mi arriva dal sindaco l’ordine di smontare tutto il capannone perché avevano avuto una denuncia penale in commissione edilizia: le pratiche da Bologna non erano ancora arrivate, il terreno non era ancora edificabile.
Allora avevo 26-27 anni e tanti debiti, cosa potevo fare? Chiesi un mutuo alla mia banca di allora di 370 milioni di lire (1972) e me lo concessero. Mi recai alla sede centrale di Bologna e mi presentai. Dopo un’ora stavo ancora aspettando. Mi chiesero se ero da solo. Mi chiesero dove era mio padre. Risposi che ero da solo. Chiesero ulteriori informazioni perché trovavano tutto molto strano. Arrivarono con un blocco di cambiali. Cominciai a firmare, sudando per la paura di aver fatto la cosa sbagliata. A casa, di notte, la situazione mi impediva di dormire. Alla mattina seguente mi recai in banca con il commercialista: ero sotto torchio.
Avevo fondato la COEMSS con 175.000 lire del licenziamento dalla Marazzi, 500.000 lire di prestito da mio papà e 500.000 da parte di un suo conoscente che appoggiava la mia iniziativa. Dopo sei mesi ho restituito i soldi a mio padre e al suo amico.
Allora non avevo nulla da perdere, solo il mondo da conquistare.
Ora SYSTEM è presente in 24 paesi del mondo.