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Perché, imporre un coach, può rappresentare un grave errore

Mò ti faccio il coaching!

26 Settembre 2013 | di Arduino Mancini Vuoi scoprire il coaching?

Negli ultimi anni mi sono imbattuto in casi in cui il coaching è stato impiegato per superare criticità di natura organizzativa o di relazione: non sempre con successo.

Un esempio?

In un caso la direzione del personale ha ingaggiato un coach per superare la situazione di conflitto generatasi a seguito di una riorganizzazione dei processi produttivi, gestita senza eccessiva cautela, che le persone si erano viste piovere addosso senza preavviso e con scarsa chiarezza.

In un altro il direttore vendite ha pensato di affidare a un coach di sua fiducia le cure di un venditore “forte” che non riusciva a gestire e che avrebbe potuto lasciare la società.

Che cos’hanno in comune questi due casi?

Prima di tutto il fatto che a scegliere il coach non sono state le persone interessate ma l’azienda, con il risultato di generare diffidenza verso un intervento non richiesto e non condiviso.

Può essere utile ricordare che il coaching è una disciplina attraverso la quale un coach sostiene lo sforzo di una persona (o di un’organizzazione) in una fase di apprendimento o di miglioramento della prestazione, comunque delimitata nel tempo, finalizzata al raggiungimento di determinati obiettivi.

Fondamentale è il clima di fiducia: senza di esso il raggiungimento di risultati rilevanti è pura utopia.

Perché allora si generano situazioni di questo genere?

Le ragioni possono essere diverse e di seguito ne riporto alcune, che possono coesistere:

  • l’azienda ha sentito parlare del coaching come uno strumento da impiegare per risolvere situazioni critiche ma ne ha una conoscenza sommaria. E sommariamente lo impiega…;
  • l’azienda vuole impiegare il coaching per risolvere situazioni critiche ma affida l’incarico a un coach di propria fiducia, sconosciuto all’interessato. E allora o è fiducia a prima vista o…;
  • il coach accetta l’incarico pur non conoscendo la persona interessata, senza aver verificato l’esistenza delle condizioni per riuscire (bisogna pur vivere…).

Insomma, la strategia del “Mò ti faccio il coaching” sembra incontrare le esigenze dell’organizzazione, che ha la tranquillizzante sensazione di aver avviato a soluzione un problema, e del coach, che ha portato a casa l’incarico (e. speriamo per lui, il compenso).

Certo, le probabilità di raggiungere un risultato positivo in queste condizioni sono minime, ma niente paura: alla fine si potrà sempre dire di aver fatto il possibile per recuperare la situazione, ma che l’interessato proprio non ne ha voluto sapere di collaborare.

A quel punto, come spesso accade quando la soluzione tentata non è adeguata, ci si trova a dover gestire una situazione ancora più difficile, che porta spesso alle dimissioni.

Del dipendente, ovviamente.

Hai mai assistito a situazioni simili?

Se vuoi vedere un film nel quale il coaching trova un’applicazione esemplare puoi vedere Il discorso del re, un film del quale ho pubblicato schede e scene dal canale video di tibicon.

 

Collegamenti utili

Se vuoi approfondire il tema del coaching puoi leggere questi libri:

Se vuoi sapere come scegliere un coach puoi fare clic qui.

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