Non siamo nati per soffrire
Ne sono convinto da sempre.
Oggi ancora di più, dopo aver letto questo breve passo pubblicato da Bertrand Russell nella raccolta di saggi Ritratti a memoria (1956).
Lo leggiamo insieme?
Né la miseria, né la follia mi sembrano far parte inevitabile del destino dell’uomo.
Mi sono convinto che l’intelligenza, la pazienza e l’eloquenza, prima o poi, possono liberare la razza umana dalle torture che essa stessa si è imposta, purché nel frattempo essa non si stermini da sé.
Sulla base di queste convinzioni, ho sempre avuto una certa misura d’ottimismo, benché, invecchiando, il mio ottimismo si sia fatto più guardingo, e il felice risultato finale sia venuto ad apparirmi più lontano.
Ma resto del tutto incapace d’andare d’accordo con coloro che accettano fatalisticamente l’opinione che l’uomo sia nato per l’infelicità.
Le cause dell’infelicità umana, nel passato e nel presente, non sono difficili da accertare. Sono state la povertà, la peste e la carestia, le quali erano dovute al fatto che l’uomo possedeva, sulla natura, un dominio inadeguato.
Ci sono state guerre, oppressioni e torture, dovute all’ostilità di certi uomini per altri uomini. E vi sono state morbose infelicità fomentate da cupe credenze, le quali hanno indotto gli uomini a forme profonde di discordie interiori, cosicché tutta la loro prosperità esteriore non poteva servire a nulla.
Nessuna di queste cose è inevitabile. Nei confronti di ciascuna di esse, si conoscono i mezzi per vincerle. Nel mondo moderno, se le comunità sono infelici, è perché vogliono esserlo. O, per parlare con maggiore precisione, perché hanno forme d’ignoranza, abitudini, credenze e passioni che tengono più care della felicità, o persino della vita.
In questa nostra epoca pericolosa, trovo molti uomini che sembrano innamorati della sventura e della morte e vanno su tutte le furie quando vengono loro suggerite ragioni di speranza.
Cosa ne pensi?