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Lavoro, stipendio e paura del... vuoto!
Post aggiornato il 18 maggio 2022
Quale legame unisce lavoro, stipendio e paura del vuoto? Vediamolo insieme.
In un esperimento del 1960 gli psicologi statunitensi Eleanor J. Gibson and Richard D. Walk vollero raccogliere informazioni circa la percezione del vuoto da parte di lattanti.
Per raggiungere il loro scopo impiegarono il visual cliff (baratro virtuale, lo strumento rappresentato nella figura), progettato allo scopo di dare al bambino la percezione del vuoto.
L’esperimento interessò 36 bambini, da 6 a 14 mesi. Ciascuno di loro veniva messo al centro del tavolo; dalla parte opposta la mamma lo sollecitava a raggiungerla dopo averlo attraversato.
Le reazioni?
Alcuni bambini piangevano perché non potevano abbracciare la mamma senza attraversare il baratro, molti scivolavano via di gran carriera e visibilmente spaventati, altri cercavano di abbandonare il baratro virtuale cadendo giù: tutti mostrarono di temere il vuoto.
Già, la paura del vuoto ci coglie da piccoli e non ci abbandona certo da adulti, quando siamo chiamati ad affrontarne forme diverse; per esempio quando ci ritroviamo per qualche ragione senza lavoro e dobbiamo, oltre a provvedere a reperire ciò che serve al sostentamento nostro e delle persone che ci sono care, affrontare il vuoto di identità che colpisce chi rimane senza occupazione.
Come affrontiamo situazioni simili?
Gli alpinisti esperti, per niente immuni dalla paura del vuoto, affrontano il pericolo fiduciosi nella loro preparazione: il fatto di aver maturato sufficiente esperienza e di aver imparato nel tempo a padroneggiare tecniche e procedure conferisce loro quel senso di controllo della situazione e dell’ansia che permette loro di sopravvivere e addirittura di vivere un’esperienza emozionalmente appagante.
Ma la scelta che la maggior parte di noi compie è molto diversa:
- siamo allegramente inconsapevoli del fatto che i tempi in cui avremmo potuto lavorare tutta la vita per la stessa azienda, magari facendo sempre lo stesso lavoro, sono irrimediabilmente andati. Affrontare il vuoto creato dalla mancanza di lavoro potrebbe essere un’esperienza che dovremo affrontare più di una volta nella vita;
- non ci prepariamo adeguatamente a gestire al meglio il nostro ruolo, rimanendo vulnerabili di fronte ai cicli economici e di mercato;
- non ci prepariamo adeguatamente al cambiamento indesiderato. L’alpinista è pronto ad affrontare lo stress generato dalla paura del vuoto, noi ci lasciamo cogliere da una paralizzante sorpresa;
- non siamo pronti a gestire la ricerca di un nuovo lavoro e sentiamo venire meno la fiducia nel futuro;
- imprechiamo contro la cattiva sorte;
- ci aspettiamo che sindacati, governo o altri si facciano carico dei nostri problemi.
Che fare allora?
Beh, cadere nel vuoto o invertire la rotta: investendo su di noi, senza delegare ad altri la soluzione dei nostri problemi.
Vedi strade diverse?
Se vuoi diminuire la tua vulnerabilità professionale puoi leggere il libro Palmiro e lo (s)management delle risorse umane.
Ciao Arduino,
si potrebbe dare un nome diverso al vuoto, che noi intendiamo solo come cosa negativa e chiamarlo cambiamento, che potrebbe diventare una nuova opportunità in senso positivo?
Se si, in quali aspetti secondo te?
Ciao Stefano,
ottima osservazione.
Ho usato l’analogia con il vuoto per aiutare il lettore a entrare in contatto con una senzazione, più che con una parola.
Oggi tutti parliamo di gestione del cambiamento e quasi questa parola sembra aver perso significato.
Vero, anche rimanere senza lavoro può rappresentare un’opportunità: esplorare nuove situazioni, nuovo orizzonti, mettersi alla prova.
Ma quando senti la paralizzante sensazione di non farcela, cosa fai?
Per questo ho usato l’immagine del vuoto.
Grazie per essere qui.
A presto leggerti,
Arduino
Ciao Arduino,
imparare ad affrontare e a gestire il o un cambiamento potrebbe, secondo me, aiutare le persone ad attenuare oppure a sconfiggere, con gli sforzi appropriati, molte paure che tutt’oggi sembrano in aumento esponenziale tra tutti noi esseri umani.
Bella l’idea del contatto con una sensazione e non solo con una parola che può dire tutto e niente.
Idea che condivido a pieno perché anch’io nel mio libro avevo mirato a questo obiettivo; leggere, alzare lo sguardo e pensare, osservare, sentire ed esprimere, ognuno a modo suo, una sensazione.
La paralizzante forza di non farcela penso non faccia pienamente parte di noi stessi, del nostro essere, ma sembra che sia manipolata da qualcuno, da un sistema che ci vuole direzionare su qualcosa che fondamentalmente è sbagliato e non dovrebbe esistere, ma che sicuramente farà esultare qualche gruppo di persone, che a mio avviso non potranno mai realmente essere felici, perché anche loro sono manipolati da loro stessi.
A presto.
Stefano