Palmiro a Bologna, 4 settembre - Breve reportage
Lo scorso 4 settembre ho partecipato a Bologna, in qualità di relatore, a un incontro organizzato da AIF – Emilia Romagna durante il quale ho affrontato con Roberto Uberti (formatore e manager nella gestione del personale nel Gruppo Unipol) il tema della gestione delle Risorse Umane nelle imprese italiane.
Oggi pubblico un post, con il fine di offrire ai partecipanti (oltre 30 persone: associati AIF, professionisti e manager d’impresa), a quanti non hanno potuto essere presenti e ai lettori che mi hanno aiutato nella selezione delle vignette una breve sintesi dei contenuti.
Stimolati nel dibattito da Cesare Cioni, socio AIF che ha moderato l’incontro, abbiamo affrontato lo spinoso tema partendo dalle vignette pubblicate nel mio nuovo libro, Palmiro e lo (s)management delle risorse umane.
Ho trovato il confronto con Roberto Uberti stimolante, registrando molti punti di convergenza.
Quali vignette abbiamo preso in considerazione, fra le oltre 100 pubblicate nel libro?
I lettori del blog avevano mostrato un interesse prevalente per le prime tre: ecco di seguito quelle effettivamente presentate e una sintesi di elementi emersi nel dibattito.
1)
La vignetta è tratta la post La strategia dell’ignoranza.
Dopo aver informato i partecipanti che la vignetta è ispirata a una situazione reale, il dibattito si è orientato su alcuni punti chiave:
- la formazione, e la relativa costruzione di competenze, rappresenta uno strumento essenziale nella costruzione del vantaggio competitivo dell’impresa;
- la situazione che stiamo vivendo in Italia impone alle imprese e ai professionisti di concentrarsi sulla formazione di qualità, orientata alla costruzione di conoscenze e competenze tecnico/gestionali;
- troppo spesso la proposta si orienta invece verso corsi di formazione che costituiscono momenti di svago piuttosto che reali opportunità di apprendimento.
2)
In questo caso la vignetta si riferisce al post I fenomeni, da soli, non bastano.
Qui i relatori si sono soffermati sulla “scivolosità” del concetto di talento, troppo spesso contornato da un’aura che porta la persona alla quale è attribuito in un contesto che lo pone al di fuori del gruppo delle persone che contribuiscono tutti i giorni a mandare avanti “la baracca”.
Anche in questo caso sono emersi punti interessanti:
- il talento, secondo lo psicologo della New York University Barry Scott Kaufman, può essere definito come “l’insieme di carattestiche individuali che accelerano l’acquisizione di competenze in una data sfera di attività”. Una definizione convincente che aiuta a sostenerne l’individuazione, finalizzata alla successiva costruzione di competenze;
- l’organizzazione che investe solo sui talenti rischia di dimenticare le altre persone, perdendo l’opportunità di valorizzarle e ri-scoprire persone “dimenticate”, valorizzandole.
3)
La vignetta è collegata al post Due donne (due…) fra i manager più pagati.
I relatori hanno convenuto che le donne oggi rappresentano un’arma non adeguatamente sfruttata da parte delle imprese; ciò è testimoniato da diversi studi, secondo i quali le imprese quotate che hanno nei consigli di amministrazione un numero significativo di donne producono utili nettamente superiori.
È necessario fare attenzione all’impiego di strumenti quali le quote rosa, poiché possono rivelarsi dannosi verso il processo in corso di lenta e graduale crescita della presenza femminile anche nelle posizioni più interessanti; tuttavia, è innegabile che proprio strumenti come le quote rosa, nei più diversi contesti, possono rivelarsi utili per accelerare il cambiamento.
Nel corso del dibattito sono anche emersi numerosi riferimenti a ricerche quantitative presentate nel recente libro Capitale Erotico; le ricerche testimoniano come altezza e avvenenza rappresentano nelle imprese un fattore premiante per l’uomo ma penalizzante per le donne, e che persiste la tendenza a retribuirle meno, specie dopo la maternità.
4)
Questa vignetta è tratta dal post Quando trattenere il dipendente è un problema, nella quale possiamo vedere un atteggiamento fin troppo diffuso soprattutto nella piccola e media impresa italiana.
L’imprenditore, pur di non sopportare la perdita di un collaboratore sul quale ha investito, decide di selezionare persone poco preparate, che però possono garantirgli un tempo di permanenza più lungo.
Purtroppo questo atteggiamento comincia a espandersi anche nella media impresa, nella quale i capi, spaventati da una crisi che ha spazzato via in poco più di 3 anni oltre il 50% di quadri e dirigenti, cercano di assumere persone “non troppo” preparate: probabilmente anche per non dover affrontare una concorrenza che arriva “dal basso”.
Un altro aspetto che spinge verso le persone poco preparate è dato dal desiderio di contenere il costo del lavoro, dimenticando che faremo davvero un passo in avanti quando cominceremo a considerare gli stipendi come un investimento anche quando non riguardano l’amministratore delegato.
A questo proposito può essere interessante consultare il libro Profit at the bottom of the ladder, che riporta dati quantitativi raccolti in imprese di 5 continenti, che testimoniano come pagare meglio le persone che stanno alla base della gerarchia può accrescere gli utili in modo significativo.
5)
E a questo proposito possiamo collegarci a questa vignetta, relativa al post La crisi ha colpito anche i manager?, nella quale una ricerca Eurostat mostra come dal 2010 al 2013 siano stati il 54% fra quadri e dirigenti che hanno perso il posto di lavoro in Italia, contro una media del 30% della UE a 28 paesi.
Per quale ragione in Italia i manager hanno sofferto di più? Due le ragioni più probabili:
- la struttura della piccola e media impresa italiana, spesso ancora guidata dal fondatore, che tende a “resistere” al tagli fin quando può, per poi partire con un taglio lineare;
- una minore preparazione di base. I manager italiani tendono a fare poca formazione, curano prevalentemente le relazioni che possono “proteggerli” e sono poco consapevoli del fatto che la preparazione rappresenta la loro principale arma per resistere ai cicli economici.
6)
La delega della cameriera (vedi la vignetta) è l’esempio di una debolezza che sembra essere strutturale nelle imprese italiane.
Essa rappresenta una situazione che si genera quando il capo non delega pienamente le responsabilità che il ruolo del collaboratore prevede: in sostanza, il collaboratore può esercitare la propria autorità solo se il diretto superiore lo concede.
Dietro la delega della cameriera, applicata nella media impresa italiana anche dall’imprenditore verso il top management, ristagnano tutte le paure e le insicurezze di quanti gravitano nel mondo aziendale resistendo alla responsabilità e deprimendo i risultati.
Qui mi fermo.
Ringrazio:
- L’AIF Emilia Romagna per l’ospitalità;
- Roberto Uberti e Cesare Cioni per la passione con la quale hanno animato il dibattito;
- Palmiro, che ha fatto ancora una volta il suo dovere.
A presto leggervi!