Cosa hanno in comune una donna alla ricerca del figlio rubato e un giornalista nel bel mezzo di una crisi professionale?
Questo il tema della sceneggiatura del che ti presento oggi, che nasce dal romanzo di Martin Sixsmith The Lost Child of Philomena Lee, uscito in Italia nel 2013 insieme al film e con lo stesso titolo.
Philomena è una donna irlandese che ha avuto un bambino da adolescente ed è stata costretta dalla famiglia a partorire nel convento di Roscrea; la giovane è stata data in affidamento alle suore del convento e, dopo aver dato alla luce il piccolo Anthony con parto podalico e senza anestesia, resta in convento in uno stato di sostanziale segregazione finalizzato allo sfruttamento del suo lavoro.
Philomena è costretta a lavorare duramente tutto il giorno per poter trascorrere un’ora con il suo bambino, che un giorno viene dato in adozione a una famiglia americana; e cinquant’anni dopo la donna finalmente decide di rivelare il suo segreto a sua figlia Jane e di mettersi sulle tracce del figlio perduto.
È proprio grazie a Jane che si incrociano i destini di Philomena e di Martin Sixsmith, giornalista della BBC che ha da poco perso l’incarico di consulente di comunicazione per il governo presieduto da Tony Blair.
Martin è in un momento delicato della sua vita, alla quale deve dare un nuovo orientamento, e dopo un primo momento di riluttanza decide di aiutare Philomena a ritrovare Antony: del resto, l’uomo ha bisogno di trovare un lavoro e la testata che lo ha ingaggiato crede che dalla storia di Philomena si possa tirar fuori qualcosa di buono.
L’indagine ruota intorno a tre domande:
Gli interrogativi e la necessità di scavare nel passato per catturare dettagli utili alle indagini portano Philomena a ricordare il doloroso periodo trascorso in convento; il lavoro, le umiliazioni, l’espiazione del peccato. Ma le indagini finiscono in un vicolo cieco quando entrano in contatto con le suore, le quali sostengono di non essere in possesso dei documenti di adozione perché distrutti da un incendio.
Ma Martin e Philomena riescono comunque a raccogliere informazioni utili e…
A questo punto mi fermo perché non voglio toglierti il gusto di guardare il film godendo della storia: ora qualche scena, poi qualche riflessione.
Colpisce, in apertura del film, lo stato d’animo di Martin:
Il giornalista appare indeciso, poco convinto dei suoi piani e la storia di Philomena sembra in grado di dargli quel pizzico di adrenalina che restituisce sapore alla sua vita.
Sconcertanti i dettagli relativi alla vita nel convento di Roscrea, dove la protagonista e tante altre ragazze erano costrette a vivere lavorando senza sosta, per perdere un giorno il figlio perché dato in adozione in cambio di denaro: è incredibile il male che delle persone possano fare ad altre persone in nome di Dio e dell’espiazione di peccati delle quali si sono erette a giudici.
E il tutto senza mai neanche un alito di dubbio o di pietà.
L’indagine porta Martin a scoprire l’identità di Anthony, la sua vita, la sua carriera e Philomena scopre anche la sua omosessualità, che accoglie con serenità e al riparo da ogni pregiudizio.
Ma soprattutto la donna vede premiata la sua ricerca dal fatto che suo figlio non aveva mai smesso di cercarla ed era stato solo a causa delle menzogne che le suore avevano raccontato anche a lui che non si erano mai ritrovati.
Un film che ti suggerisco di vedere per capire il danno che può essere compiuto da persone che pensano di poter dispensare premi e punizioni, approfittando del fatto che “Quando Dio tace, gli si può far dire quello che si vuole” (Jean-Paul Sartre).
Judi Dench, Steve Coogan, Anna Maxwell Martin, Mare Winningham, Michelle Fairley, Ruth McCabe