Il film ruota intorno alla finale del Torneo di Wimbledon (il vero e proprio campionato del mondo di tennis sull’erba) del 1980, e a come ad essa erano arrivati i due tennisti che ad essa diedero vita: lo svedese Bjorn Borg e lo statunitense John McEnroe.
I due giovani uomini, al tempo 24 anni Borg e 21 McEnroe, erano in quel momento rispettivamente al primo e al secondo posto della classifica mondiale e la loro rivalità accendeva la fantasia della stampa e del pubblico: lo svedese aveva già vinto Wimbledon quattro volte ma l’americano era in netta ascesa e disponeva di un talento tennistico superiore.
A rimarcare le differenze fra i due anche l’atteggiamento in campo: McEnroe irascibile, indisciplinato e rissoso, Borg algido, impenetrabile fino al punto da apparire distaccato anche di fronte al successo.
Ma è proprio così che stanno le cose? Erano davvero queste le caratteristiche dei due personaggi?
Il film ci restituisce un’immagine dei protagonisti più vicina alla realtà, facendoci rivivere i primi colpi tennistici di un giovanissimo Bjorn, tutto preso a governare scatti d’ira che lo assalivano alla prima contrarietà, e l’infanzia di un John più equilibrato di come si sarebbe rivelato da adulto.
Insomma, un film che ti svelerà dei protagonisti aspetti sconosciuti, e del quale altro non voglio anticipare: ora guarda alcune clip, poi ti dirò per quale ragione ti raccomando di vedere il film.
“Borg McEnroe” è un film vivo, palpitante, che riesce a tenere un buon ritmo pur senza rubare tempo all’introspezione.
Niente è ciò che sembra: questa affermazione appare assolutamente adeguata a descrivere la sorprendente descrizione psicologica che la sceneggiatura ci presenta dei protagonisti: il vulcanico Borg e un McEnroe piuttosto bravo nel mantenere la concentrazione.
Aspetto molto interessante è il rapporto che Borg ha con il suo coach, Lennart Bergelin (ex tennista e capitano di Davis della Svezia), l’uomo che ne intuisce le qualità e che lo guida durante la sua brevissima carriera, fino al ritiro del 1983: chi si occupa di coaching professionalmente troverà nel film interessanti spunti di riflessione.
Ma ciò che più di ogni altra cosa mi ha colpito è l’estrema fragilità di due ragazzi che il mondo tratta come semidei capaci di imprese irripetibili, e che fanno invece i conti con le loro ansie e la loro paura di perdere: due ragazzi, come tanti, in cerca di una dimensione adulta che fanno fatica a trovare.
Da non perdere.
Sverrir Gudnason, Shia LaBeouf, Stellan Skarsgård, Tuva Novotny, Robert Emms, David Bamber