“Il padrino”, vincitore di tre premi Oscar, è da molti considerato il film più bello della storia della cinematografia, mentre l’interpretazione di Marlon Brando, premiato con l’Oscar, è spesso citata come la migliore mai vista sullo schermo.
Difficile condividere il primo punto, mentre possiamo certo dire che ogni volta che il grande attore è in scena, con guance appesantite e voce rauca, è capace di catturare completamente lo spettatore, fino a rapirlo.
Il film è uno spaccato realistico del mondo della mafia italo-americana degli anni che hanno seguito la seconda guerra mondiale, dove a governare erano i padrini e gli affari andavano avanti attraverso scambi vicendevoli di “favori”. Francis Ford Coppola riesce con maestria a dare sostanza alle ambiguità di questo mondo, costellato da personaggi contraddittori: se da una parte difendono valori come l’attaccamento alla famiglia ed il senso dell’onore, dall’altra non si fanno scrupolo ad utilizzare qualsiasi mezzo per proseguire nelle loro attività e il loro profitto.
La tragedia come stile di narrazione, una serie di personaggi dalle caratteristiche memorabili, un Marlon Brando epocale, siamo di fronte ad una leggenda che contaminerà i decenni successivi rimanendo un classico che non sente assolutamente lo scorrere degli anni.
Il regista adotta la tragedia come stile di narrazione, sostenuto da una solidissima sceneggiatura (tratta dall’omonimo best-seller di Mario Puzo), che caratterizza con grande cura tutti i personaggi, sia quelli principali sia quelli secondari, e dal talento di un cast d’attori irripetibile.
In particolare Michael Corleone, il figlio del padrino interpretato da Al Pacino, con la sua metamorfosi da integerrimo eroe di guerra a capo della “famiglia” a fare da filo conduttore a tutto il racconto, è il personaggio più interessante e complesso del film. Bellissima la parte conclusiva, che lo consacra il nuovo punto di riferimento della famiglia Corleone.
Ma tutti i personaggi sono venati di una tragicità che è ben lontana dal desiderio di esaltazione o dall’accettazione dei ruoli criminali come conseguenza e bisogno della società; il film invita alla riflessione e al compatimento di scelte obbligate, di morti accettate per rassegnazione, di vite distrutte dalla follia di regole insensate: l’onore, che ogni tanto emerge per scusare e giustificare la mostruosità di atti indegni, è affogato nel sangue e dalla crudeltà che ne consegue.
Nel film non c’è esaltazione del male, ma la lucida testimonianza di un’epoca che finisce e di regole del gioco che cambiano.
Qui trovi alcune scene del film.
Innumerevoli gli angoli di visuale di un film ricchissimo di spunti:
Un film da (ri)vedere ogni tanto.
Marlon Brando, Al Pacino, James Caan, Richard Castellano, Robert Duvall, Richard Conte, Al Lettieri, Diane Keaton, Talia Shire, Abe Vigoda