Ho conosciuto Maurizio de Giovanni durante la presentazione di un suo libro: persona brillante, intelligente e poco incline a compiacere.
Da alcuni mesi resistevo alle insistenze di mia moglie affinché leggessi i suoi romanzi, convinto che mi avrebbero catturato irrimediabilmente; fino a quando, qualche giorno fa, Il metodo del coccodrillo si è materializzato sul mio comodino, impadronendosi delle mie vacanze pasquali.
Oggi voglio condividere con te quello che ho imparato dalla sua lettura e quanto essa possa insegnare anche a chi non è amante di questo genere letterario.
Comincerò con il raccontare l’essenziale della trama, per poi soffermarmi su ciò che del libro ho trovato interessante, anche avvalendomi della testimonianza dell’autore.
La storia
La vicenda si svolge in una Napoli contemporanea e ha per protagonisti due uomini: l’ispettore Lojacono e il Coccodrillo, un assassino che sta seminando il panico nella metropoli mediterranea.
Giuseppe Lojacono è un poliziotto siciliano da poco trasferito al commissariato di San Gaetano per scontare un periodo di “purgatorio”; un collaboratore di giustizia lo ha accusato di avere legami con la mafia e, pur in assenza di prove a suo carico, egli ha finito per perdere gran parte di quello che ha: il lavoro, la moglie, il rapporto con l’amatissima figlia.
Il Coccodrillo è un killer che ha un metodo: agisce freddamente, studia le abitudini delle sue vittime, aspetta con pazienza infinita, colpisce e scompare in una città in cui passare inosservati è facile, molto facile.
Troppo.
A far da contorno ai protagonisti altri personaggi:
Personaggi che assumono via via sembianze e spessore, fino a trasformare il duetto fra i due protagonisti in un vero e proprio coro.
Altro sulla trama? Non ci penso neanche!
Ora lascio la parola a Maurizio De Giovanni, che ti parlerà del libro: poi riprenderò le redini per soffermarmi su alcuni aspetti che ho trovato non comuni.
Che cosa potresti trovare interessante
Giuseppe Lojacono non è un poliziotto qualunque; insomma non è di quelli che ha l’intuizione giusta e poi fa di tutto per dimostrarne la correttezza, diventando il geniale e infallibile investigatore di turno.
L’ispettore lascia guidare l’indagine dai fatti, non si ferma alla prima ipotesi, non scarta le opzioni se non quando si sono dimostrate infondate, è consapevole di poter sbagliare; già, intrigante è proprio il suo atteggiamento nei confronti dell’errore, che considera come un’informazione ulteriore da ottenere in condizioni di rischio contenute.
Ciò che colpisce è la sua capacità di farsi delle domande, di sperimentare e dire “non lo so” anche quando tutti gli altri brancolano nel buio e si aspettano che sia lui a dare un’indicazione, ad accendere almeno una debole fiammella; un atteggiamento che dimostra capacità di concentrarsi sui fatti, senza badare più di tanto all’idea che gli altri si faranno di lui.
Un esempio per chiunque si trovi a dare soluzione a situazioni complesse: manager e professionisti di ogni ordine e grado.
Altro aspetto interessante del libro è costituito dalle dinamiche organizzative.
Il commissario Di Vincenzo è poco attento alle persone che lavorano con lui, ha deciso di credere anche in assenza di prove che Lojacono abbia collaborato con la mafia, non si preoccupa di valutare il contributo che può dare al gruppo e lo relega alla gestione di situazioni di secondo piano.
Interessante e divertente la scena in cui Laura Piras, la Sostituto Procuratore determinata a risolvere il caso senza badare troppo alla forma e alla gerarchia, lo coinvolge in una riunione in cui sono presenti i Commissari interessati alle indagini; situazione fra il patetico e l’esilarante in cui tre persone che hanno fatto ben poco per capire come agisce l’assassino credono di poter venire a capo della vicenda solo grazie alla posizione che occupano.
Senza porsi la domanda più importante: il Coccodrillo ha smesso di colpire?
Che dire di più?
Leggilo in vacanza, perché altrimenti rischi di lasciar perdere tutto il resto!